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La legge è donna

La giustizia, nella tradizione classica, viene raffigurata come una donna bendata che regge in mano l’antica bilancia a due piatti. Una dea garante dell’imparzialità, simbolo ricorrente all’ingresso dei tribunali e sulle targhe degli avvocati. Tuttavia, sebbene essa, Iustitia, appartenga all’alto rango della cultura giuridica, spesso non è stata in grado di tutelare il proprio genere femminile, peccando di inosservanza nei confronti di valori su cui si regge, quali l’uguaglianza. Un velo di ipocrisia poggia, dunque, su decenni e decenni di storia legislativa del nostro Paese. Tuttavia si potrebbe sostenere la tesi contraria, partendo dal presupposto che, in accordo con i principi di qualche anno fa, quella era giustizia. Una giustizia partorita solo da uomini, del tutto indifferente rispetto alle esigenze del “gentil sesso”. È però innegabile lo scossone dato dal ventesimo secolo al contenitore legislativo, sbattuto qua e là nei complessi corsi e ricorsi del ‘900, demolito e ricostruito più volte, che finalmente volge le orecchie alle urla di quelle donne che sbattono la testa contro le ferree consuetudini, con l’intenzione di invertire la rotta e rendere Giustizia una vera cittadina italiana.

Scorrendo a ritroso la nostra galleria legislativa sono molti i diritti riconosciuti alle donne, rivisti e ampliati negli anni, tali da aprire le porte a un futuro più “rosa”. La garanzia del diritto di voto attivo per le donne di almeno 21 anni segna un primo snodo importante nel 1945, data che si pone al traino di una serie di leggi di impronta femminista emanate successivamente, alcune tutt’oggi controverse e oggetto di discussione.


Legge Merlin

Tra queste possiamo annoverare in primo luogo la legge del 1958, voluta dalla senatrice Lina Merlin, che all’alba della prima Repubblica abolì le case chiuse, luogo di oggettivazione e sottomissione della donna. Fin dalla sua promulgazione si sono mosse voci scettiche che osservavano, mettendo da parte la morale e l’etica, come il divieto posto mettesse in secondo piano il fondamentale diritto della tutela della persona, peraltro non ponendo fine al problema della prostituzione, dilagante per le strade d’Italia e da tempo nelle mani delle organizzazioni criminali. A tal proposito, una tendenza opposta rispetto a quella del nostro Paese si registra in Olanda, dove oggi la prostituzione è del tutto regolamentata in materia di tassazione e di previdenza sociale. Si racconta che fu Napoleone, alle soglie del XIX secolo, a obbligare le prostitute alla registrazione e a sostenere controlli medici periodici, nel tentativo di limitare il contagio di malattie veneree tra i suoi soldati.


Solo una domestica?

In ambito lavorativo il 1963 ribaltò, quantomeno sulla carta, lo stigma della donna relegata alla vita domestica, quando la legge n.66 ammise le donne “ai pubblici uffici e alle professioni”. Tuttavia, i disastrosi esiti del primo concorso sottolinearono altri problemi di sottosuolo, a partire da un tasso di analfabetismo che sfiorava quasi l’80%. Ad oggi i dati sono certamente più confortanti di quelli dell’epoca, rivelando la progressiva ascesa della leadership femminile: su circa 8678 magistrati, infatti, il 46% sono donne.

Dagli anni 60 in poi si rafforzò dunque la spinta verso le pari opportunità lavorative, pur nella consapevolezza dei diversi bisogni tra uomo e donna. Il 1972 sancì il divieto di licenziamento in maternità, l’assenza obbligatoria due mesi prima e tre mesi dopo il parto pagata all’80%, il congedo facoltativo di 6 mesi nel primo anno di vita del figlio, pagato al 30%, e il riposo per allattamento. Il recente decreto legislativo del 2010, inoltre, rafforzò il diritto delle lavoratrici a percepire, a parità di condizioni, la stessa retribuzione dei colleghi maschi, punendo ogni inottemperanza con multe salate o l’arresto fino a 6 mesi.


“La famiglia del Mulino Bianco”

Gli anni 70 contribuirono a far cadere il tabù del “matrimonio per sempre” confermando il diritto al divorzio, specialmente a seguito della schiacciante maggioranza ottenuta con referendum abrogativo. La necessità di tutelare i nuclei familiari, infatti, dipende sia dal riconoscimento delle libertà del singolo che anche dalla completa parità tra marito e moglie nel matrimonio e nella tutela giudica dei figli, riconosciuta attraverso una legge voluta nel 1975 da Nilde Iotti, Giglia Tedesco, Franca Falcucci e Maria Eletta Martini, un vero colpo di mano contro lo stereotipo del “pater familias”. Nello stesso anno, venne inaugurata le legge sui consultori familiari, strutture territoriali di assistenza sanitaria e psicologica per la donna, la coppia e la famiglia nei diversi stadi della vita. Il ‘75 sferrò quindi un pugno alla barriera dell’informazione in materia di contraccezione, fornendo, tra l’altro, l’assist per la legge 194 sull’aborto, di appena tre anni più giovane. Sollecitata dai movimenti femministi, venne approvata con i voti dei partiti laici dell’epoca per limitare l’aborto clandestino, una piaga che, seppur ridimensionata rispetto al passato, resta tutt’ora presente. Del resto, tra le 10.000 e le 13.000 donne ogni anno abortiscono in modo clandestino secondo le stime del ministero della Salute.


Rosso più che rosa

Le normative degli ultimi 40 anni ci conducono, purtroppo, alla conclusione più spinosa, cioè che “la legge del più forte”, per quanto sopita dalla civilizzazione, rimane sempre in dormiveglia. Lo dimostra l’attuale necessità dei ripetuti irrigidimenti sulla tutela delle donne. Le prime mosse in questa direzione si ebbero con l’abolizione del matrimonio riparatore e del delitto d’onore (1981) e a seguire, dopo anni di lotte scoppiate in risposta al massacro del Circeo, con la legge del 1996 che rese lo stupro un reato contro la persona e non più contro la morale. Il tracciato raggiunge i tempi recenti, quando, nel 2013, la pena venne aumentata di 1/3 se ad essa assiste un minore, se la vittima è in gravidanza o se la violenza è commessa dal partner. Il codice rosso del 2019, infine, non fu altro che un nuovo, disperato tentativo di demolizione del femminicidio, l’ennesima spallata a infiniti cicli di sofferenze e terrore.


Siria Santangelo


Sitografia e fonti:

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