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Alatiel: una donna moderna (purtroppo)

“Non siamo mica nel medioevo”: quante volte abbiamo sentito pronunciare questa frase in riferimento a fatti di cronaca che troviamo assurdi nella nostra contemporaneità, e che potrebbero apparirci coerenti solo in un’epoca tanto lontana.

La letteratura è ricca di esempi e testimonianze di quanto la società di allora fosse inevitabilmente diversa dalla nostra, e accogliesse comportamenti ai nostri occhi retrogradi: un elemento su tutti è il forte carattere misogino che traspare dai testi di quest’epoca. Un fenomeno come la violenza di genere sembra a tratti accomunare gli uomini protagonisti di questi racconti e la società a noi coeva, che ancora ospita episodi per nulla distanti dalla realtà medievale. 


Giovanni Boccaccio con il suo celebre Decameron ritrae degli scorci di quotidianità propri dell’epoca medievale, nei quali, il più delle volte, sono proprio le donne a essere protagoniste. Una delle novelle più significative nel campo della violenza di genere è di certo la settima della seconda giornata, narrata da Panfilo, uno dei pochi uomini della famosa brigata. 

Protagonista del racconto è Alatiel, una ragazza anonima per gran parte della narrazione, citata solo nell’incipit e mai più nominata fino alla conclusione: è una donna zittita, violentata e scossa in lungo e in largo. 

Sin dall’inizio della novella la ragazza è infatti passiva alle decisioni del padre, sultano di Babilonia, che la consegna in moglie al sovrano del Marocco; per raggiungere il futuro sposo Alatiel è costretta a un lungo viaggio per mare, durante il quale è vittima di una tempesta. 

Il naufragio della nave scatena il susseguirsi di una serie di peripezie che la donna dovrà intraprendere: costretta a viaggiare di paese in paese per quattro anni viene violentata da ben 9 uomini, tutti pronti a uccidere il precedente per garantirsi il completo possesso della donna. 


Per l’intera durata della novella Alatiel è passata di mano in mano a diversi amanti, come se fosse un oggetto, privata di ogni forma d’identità: ogni uomo che incontra ignora la sua condizione sociale, il suo nome, e tutto ciò che le rimane è la mera identità sessuale. 

Chi la circonda la percepisce come un corpo che, seppur bellissimo, è tutto ciò che la definisce. 

“Voi, graziose donne, sommamente peccate nel disiderare d’essere belle” afferma Panfilo, riferendosi alle ragazze della brigata, dipingendo la bellezza come una vera e propria colpa: ciò che lascia intendere è che le vere vittime di tutta la vicenda siano i 9 amanti di Alatiel, perché invaghiti dall’aspetto fin troppo affascinante della donna, che li ha condotti uno per uno alla morte. Certo, una tale affermazione, uscita dalla penna di un uomo medievale, non dovrebbe stupirci più di tanto, considerando il carattere misogino dell’epoca; eppure non è tanto distante dal fenomeno del victim blaming che ancora oggi, nel 2024, si sente pronunciare di fronte alle notizie di stupri, femminicidi e ogni altra forma di violenza. 

Fa riflettere pensare che la visione di un autore di quel tempo tanto si avvicini alla realtà di oggi: spesso infatti nella cronaca contemporanea si ricerca una motivazione concreta nell’atto di violenza a partire dall’atteggiamento o dal modo di porsi della vittima. 

Quante volte abbiamo sentito pronunciare frasi del tipo “se solo non si fosse vestita così”, “è stata lei a provocarlo” o “lei però non si è tirata indietro”, che ci confermano un atteggiamento giudicante nei confronti di chi subisce la violenza; questo accade perché è più semplice trovare un capro espiatorio piuttosto che andare alla radice di una problematica che accomuna tutta la società. Nonostante il singolo non percepisca come proprio tale pensiero, è evidente che nella realtà contemporanea sopravviva, forse anche inconsciamente, un retaggio molto simile a quello presente nelle parole di Panfilo. 


Nel leggere la novella è possibile soffermarsi su un ulteriore aspetto emblematico relativo alla violenza di genere: seppur Alatiel entri in contatto con diversi personaggi, non le viene quasi mai data la possibilità di parlare. Gli uomini che la corteggiano non comprendono la sua lingua, ed è dunque costretta al silenzio ogni qual volta che subisce una violenza: questo fattore contribuisce ulteriormente alla perdita della sua identità, impedendole di ribellarsi. 

È significativo che prenda parola soltanto alla fine della novella, rivolgendosi con un discorso indiretto agli ultimi amanti con i quali condivide la stessa lingua, e che si rivelano gli unici a provare un affetto sincero nei suoi confronti. 

Nella conclusione del racconto, una volta terminato il viaggio, Alatiel è costretta nuovamente a parlare da Antigono, servo del padre, che le suggerisce di mentire a quest’ultimo rispetto alla sua verginità. Il fatto che alla donna venga concesso lo spazio di un discorso diretto solo nel momento in cui pronuncia delle parole messe a lei in bocca da un uomo evidenzia l’inferiorità intellettuale che le viene attribuita.

Alatiel dunque mente perché ormai privata di quella verginità impostale dal padre, la stessa verginità che le è stata strappata non per sua scelta ma per mezzo di una violenza. 

È proprio a partire dal timore di questi stessi giudizi che anche oggi 1 donna su 10 non denuncia la violenza subita: è la paura di non essere ascoltate, capite, o addirittura essere considerate colpevoli. 

Oggi come allora il silenzio è però nemico delle donne: tacere e non denunciare significa non far sentire la propria voce e arrendersi di fronte all’ingiustizia. 


Per quanto il Decameron sia un’opera spesso conosciuta per le novelle spensierate, divertenti, pensate per il mero intrattenimento, non va presa alla leggera: le dinamiche all’interno della novella sono ancora molto attuali; i silenzi assieme alla paura di sentirsi giudicate dalla società sono ancora un ostacolo che dopo più di 700 anni ancora non siamo riusciti a superare. 


Giulia Tirinnanzi


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