In dialogo con la dottoressa Nicoletta Guerrero, giudice coordinatore della sezione GIP/ GUP presso il tribunale di Busto Arsizio
«Bandita la giustizia, che cosa sono i grandi imperi se non bande di briganti che hanno avuto successo? E che cosa sono le bande di briganti, se non imperi in embrione?». Sant’Agostino nella “Città di Dio” definisce così la giustizia: il punto fondamentale che distingue lo Stato dai clan di criminali.
Senza una giustizia efficiente, uno Stato si arrende. Rinuncia. Diventa asfittico. Per capire meglio come in Italia viene amministrato questo fondamentale potere dello Stato, abbiamo intervistato la dott.ssa Nicoletta Guerrero, giudice coordinatore della sezione GIP/GUP presso il tribunale di Busto Arsizio. Con lei abbiamo discusso sulle maggiori criticità del sistema giudiziario del nostro Paese e analizzato i cambiamenti nell’organizzazione del tribunale penale di Busto Arsizio durante il periodo della recente emergenza sanitaria.
Solitamente si sente definire l’organizzazione giudiziaria italiana come un sistema poco efficiente, farraginoso e macchinoso, bloccato dal numero eccessivo di processi, dalle carenze di organico e da una domanda patologica di giustizia. Crede che questa critica possa essere considerata omogenea per tutti gli uffici giudiziari italiani?
Indubbiamente l’amministrazione giudiziaria italiana presenta delle criticità, legate innanzitutto alla carenza di personale (magistrati, cancellieri, polizia giudiziaria). I livelli di efficienza variano però in base ai singoli tribunali. Ciò testimonia che una buona organizzazione interna può comunque consentire di gestire la domanda di giustizia.
E’ essenziale agire secondo i criteri di priorità, bloccando già in udienza preliminare o archiviando le notizie di reato infondate, per non celebrare processi inutili. Sia la Procura della Repubblica che il Tribunale di Busto Arsizio svolgono in maniera efficace questo compito, gestendo una domanda di giustizia elevata in tempi rapidi. Spesso riusciamo ad arrivare a una sentenza di primo grado a meno di un anno dalla notizia reato, pur avendo una carenza del 45% del personale delle Cancellerie.
E’ fondamentale che ognuno di noi magistrati svolga il proprio lavoro col massimo della diligenza e della assiduità. Solo così è possibile gestire le controversie che siamo chiamati a dirimere.
Il tribunale di Busto Arsizio è evidentemente un esempio di tribunale virtuoso, ma non sempre la giustizia viene amministrata in maniera ottimale. Vi è a suo avviso bisogno di ulteriori riforme al fine di rendere maggiormente efficiente il nostro sistema giudiziario?
Si sente molto spesso parlare di riforme della giustizia e sicuramente ci sono degli aspetti che andrebbero migliorati, primo tra tutti la carenza di organico. Tuttavia, come dicevo, le esperienze dei tribunali più virtuosi ci insegnano come sia possibile amministrare al meglio l’attività giudiziaria se tutti svolgessero in maniera ottimale il proprio lavoro.
E’ essenziale che in udienza preliminare si effettui una cernita dei processi fattibili e che le Procure adottino i criteri di priorità, che sono ben definiti e prevedono, soprattutto in caso di reati da “Codice Rosso” (ad esempio maltrattamenti o stalking), risposte molto rapide da parte dell’Autorità Giudiziaria.
I magistrati italiani devono avere una produttività molto alta ed è fondamentale che rimanga tale per gestire la domanda di giustizia.
L’emergenza sanitaria in atto ha colpito duramente anche il settore della giustizia, mettendo a dura prova l’amministrazione giudiziaria nel nostro Paese. Come ha reagito il suo Tribunale alla emergenza sanitaria? Quali decisioni sono state prese sulla celebrazione dei processi?
Dopo un periodo di lockdown anche per l’amministrazione giudiziaria, si è ritenuto fondamentale avviare una congrua ripresa. Il Presidente del Tribunale di Busto Arsizio ha quindi diramato precise linee guida relative allo svolgimento della attività giurisdizionale per il periodo 12 maggio 2020- 31 luglio 2020, al fine di evitare assembramenti nel Palazzo di Giustizia.
Si è quindi deciso di prediligere, laddove possibile, forme di smartworking per i giudici civili, che hanno già le consolle che consentono di gestire il processo civile telematico, mentre per quanto riguarda i contenziosi penali si è deciso di celebrare, previo accordo tra le parti, i processi tramite la piattaforma Teams.
Il processo penale telematico è stato disposto (come stabilito dalle linee guida) in particolari casi, in base alla urgenza e al numero di parti che devono essere presenti in aula, dove è obbligatorio mantenere una certa distanza interpersonale.
Tuttavia, l’adesione dei difensori a questo tipo di processo non è stata plenaria. L’Unione delle Camere Penali italiane si è fortemente opposta a questa modalità di celebrazione, ritenendola penalizzante per le difese.
In base alla mia esperienza, posso dire che statisticamente, ad oggi, circa i 2/3 dei difensori hanno opposto dissenso ad effettuare processi con rito abbreviato con modalità telematica.
Per i difensori che hanno opposto il diniego è stato disposto il rinvio dell’udienza a data successiva al 31.07.2020.
Potrebbe spiegarci meglio come funziona il processo penale a distanza e come si celebra? La possibilità di effettuare il contenzioso penale telematico ha aperto delle discussioni anche all’interno della stessa magistratura. C’è chi ritiene fondamentale ampliare la partecipazione a distanza nei dibattimenti tramite lo strumento della videoconferenza mentre altri togati ritengono necessario che nel processo l’imputato e il suo difensore possano trovarsi in aula. Crede che il processo telematico possa rappresentare il futuro della giustizia penale?
Presso il Tribunale di Busto Arsizio è stato disposto che nelle udienze da celebrarsi a distanza il giudice si connetta dall’aula (dove è presente anche il cancelliere); il Pubblico Ministero si colleghi dal proprio ufficio o dall’aula e il Difensore dell’imputato dallo studio professionale, spesso insieme all’imputato stesso. Anche la parte offesa può partecipare al processo, collegandosi dallo studio professionale del proprio difensore o tramite proprio device.
E’ da tener presente che non tutti gli avvocati o gli imputati hanno la possibilità di collegarsi da remoto. Molti legali sono infatti in età avanzata e difficilmente riescono ad adoperare in maniera sufficientemente adeguata gli strumenti informatici. Siamo stati quindi obbligati a rinviare i loro processi.
A questo si aggiunge una specificità del processo penale, nel quale occorre tener presente anche fattori emotivi, più difficili da identificare nei processi effettuati telematicamente rispetto a quelli svolti in aula.
Siamo riusciti a ovviare alle complicazioni che si sono presentate ma le problematiche tecniche di certo non sono mancate.
Racconto un aneddoto inerente un processo che ho presieduto pochi giorni fa, riportato anche sul giornale “La Prealpina”: la piattaforma Teams dapprima non consentiva all’avvocato di collegarsi con il tribunale e successivamente era impossibile comunicare con il difensore e l’imputato visto che l’audio era consentito solo per un paio di auricolari. Il difensore e il cliente hanno dovuto quindi condividerlo un orecchio ciascuno, soluzione di sicuro non del tutto rispettosa delle attuali misure igienico sanitarie.
Il processo penale telematico è quindi sicuramente un buon metodo per ovviare alla situazione momentanea. Tuttavia non credo, data la numerosità di fattori da tenere in considerazione nel contenzioso penale, che forme di processo telematico possano diventare una prassi anche in situazioni ordinarie.
Recentemente ha fatto molto discutere il sovraffollamento delle carceri italiane. A causa dell’epidemia in corso sono stati disposti gli arresti domiciliari per molti detenuti. Crede che la situazione degli istituti penitenziari italiani sia davvero così drammatica? A cosa è dovuta questa criticità?
Dato il sovraffollamento delle carceri italiane e il rischio che anche lì si espandesse l’epidemia di coronavirus, alcuni detenuti hanno presentato istanze di scarcerazione, molte delle quali sono state accolte, soprattutto da parte dei giudici di sorveglianza. Il problema del sovraffollamento degli istituti penitenziari in Italia è una questione annosa, che richiede ormai una risoluzione. I posti carcere sono infatti nettamente inferiori rispetto alla popolazione con pena da espiare. Sarebbe quindi opportuno che si intervenga costruendo nuovi istituti penitenziari o ampliando quelli già esistenti.
Ringraziamo la dott.ssa Guerrero per averci presentato l’esempio del tribunale penale di Busto Arsizio, organizzazione giudiziaria all’avanguardia che ha saputo innovarsi anche ai tempi del coronavirus, gestendo al meglio l’amministrazione giudiziaria anche in questo momento così difficile per il nostro Paese.
Giuseppe Scaramuzzino
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