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IL CALCIO NON PUO’ ESSERE SALVATO "DA CHI LO AMA"

Aggiornamento: 5 mag 2021

Finale di Carabao Cup, 25 aprile 2021, tra Manchester City e Tottenham, appena qualche giorno dopo l’annuncio ed il conseguente arresto del progetto Superlega. Compare uno striscione: “Fans, Football, Owners. In that order”. Prima i tifosi, poi il calcio e, solo all’ultimo gradino del podio, i proprietari.

Questa l’idea comune che permea dall’ambiente calcistico europeo a partire dalle dichiarazioni di Florentino Perèz, quella di proprietà egoiste, votate solo al profitto ed al denaro, pronte a disconoscere la bella tradizione dello sport principe del vecchio continente.

Delle prime reazioni abbiamo già discusso in un precedente articolo: particolarmente rilevante è lo stato di shock in cui tutti sono stati versati immediatamente.


Ma si è davvero trattata di una sorpresa? O è il classico esempio di cigno nero?

Arsène Wenger, ex allenatore dell’Arsenal, si espresse in questi termini un'intervista rilasciata nel 2009 in merito all'eventuale entrata dei dominanti club scozzesi Celtic e Rangers (106 titoli nazionali su 124 tra le due) nella Premier League inglese: "Vedo più un campionato europeo che si sviluppa nel tempo piuttosto che una squadra che esce dal paese. I campionati nazionali sopravvivranno ma forse tra 10 anni ci sarà un campionato europeo", ma non solo “per il modo in cui stiamo andando finanziariamente - continua Wenger - arriveremo al punto che anche i soldi che arriveranno dalla Champions League non saranno sufficienti per alcuni club perché spendono troppo”.

La parola chiave del suo discorso è “finanziariamente” e la situazione, dal 2009 ai giorni nostri, è peggiorata in maniera esponenziale.


Si consideri il club più vincente del decennio in Italia, la Juventus: nel 2009 presentava come giocatore più pagato Gianluigi Buffon, per un totale di 5,5 milioni netti annui, mentre oggi è Cristiano Ronaldo, che pesa sulle case del club torinese circa 31 milioni netti. Ma anche ignorando il fuoriclasse portoghese, che a livello di cifre vive in un mondo a parte, altri sette giocatori percepiscono un compenso annuale maggiore di quello di Buffon nel 2009.

Lo stesso discorso si potrebbe ripetere invariato per tutti i maggiori club europei, poiché è evidente come da molti anni ormai si stia verificando un aumento degli investimenti, fenomeno che ha portato a trasferimenti stellari come i 222 milioni sborsati dal PSG per acquistare le prestazioni di Neymar Jr nel 2017 ed a stipendi impensabili come i 555 milioni netti in 4 anni promessi dal Barcellona a Messi.

Una vera e propria bolla che si è gonfiata incontrastata sino a quest’anno, quando la pandemia ne ha rivelata la fragilità.

Come Perèz ha spiegato a ‘El Chiringuito TV’, con il suo solito stile molto asciutto e diretto, qui al Real Madrid abbiamo perso molti soldi, stiamo attraversando una situazione molto brutta. Quando non c’è profitto, l’unico modo è giocare partite più competitive durante la settimana. La Super League salverà finanziariamente i club. Solo noi abbiamo perso 400 milioni di euro, non è stato fatto nulla in merito. Più partite competitive ci sono, più entrate genereranno per i club ed è così che sopravvivremo a questa situazione. La Super League è la soluzione, il calcio deve cambiare.


Solamente un dato, per disegnare un quadro di ciò che il 2020 è stato per le maggiori società europee: il valore del trademark dei club presenti nella ‘Brand Football Finance 50’, classifica dei 50 brand calcistici di maggior valore nel mondo, è diminuita in assoluto di 751 milioni di euro.


Classiche sfide di Champions League a suon di svalutazioni: il Manchester United perde il 10.4%, a cui il Milan risponde con sonoro -35.3%. Di fianco al -18.8 dell’Arsenal, la Roma segna sul tabellino un -21.4%.

Perdono valore, ma non solo: tutti i club contattati per partecipare alla Superlega rientrano nelle 20 squadre con il più alto monte ingaggi d’Europa. Quantificando, il Barcellona, che occupa il primo posto, deve ogni anno 529 milioni di euro netti ai suoi giocatori, mentre Real Madrid ed PSG completano il podio con rispettivamente un totale di 431 e 337 milioni.


Questi dati, affiancati alle perdite e ad una pesante situazione debitoria diffusa, rendono chiaro il quadro disastroso di queste società.

Per sopravvivere solo due alternative: ridurre immediatamente i costi o aumentare i ricavi.


E quando sotto “riduzione dei costi” si legge “diminuzione degli stipendi” si capisce perché la via non sia praticabile: i caldissimi casi Donnarumma e Calhanoglu in casa Milan sono esempi lampanti. Ed in questo senso anche le reazioni negative dei giocatori di proprietà di questi top team all’annuncio della Superlega, genuine o meno, sono evidentemente fuori luogo, dato che essi stessi sono i principali complici del sistema fragile che si è venuto a creare.


Quindi, in conclusione, la necessità di cercare nuovi ed ingenti fondi al di fuori del sistema vigente è davanti agli occhi di tutti. E la Superlega, progetto la cui nascita aleggiava già da anni, è stata il tentativo più naturale di porre un limite alle difficoltà presenti.


È una soluzione che il tifoso si doveva aspettare. Ma ora il lettore si ponga in uno scenario in cui la notizia sia stata un ‘fulmine a ciel sereno’ ed in cui un progetto come quello capitanato da Perez ed Agnelli sia inequivocabilmente negativo per il calcio in senso assoluto. Ecco, anche sotto queste ipotesi, la reazioni delle tifoserie sono state esagerate ed incoerenti.

Esagerate ed incoerenti perché gli stendardi di ‘il calcio è di chi lo ama’ e di ‘il calcio è dei tifosi’ sono romantici, ed in buona parte veritieri, ma non sono gli ideali su cui il calcio internazionale degli ultimi anni si è sviluppato e dunque non possono esse le basi da cui partire per una soluzione.

L’occupazione dell’Old Trafford avvenuta nel weekend, che ha impedito il calcio di inizio di un match di Premier League, con il fine di richiedere le dimissioni dei vertici della dirigenza dei Red Devils non ha fatto altro che evidenziare la tragicomicità della situazione: chi dovrebbe sostenere il club esige ‘à la Robespierre’ la testa di chi in quel momento sta cercando di mantenere lo stesso club al top.

Perché non bisogna scordarsi cosa succede quando una squadra storicamente di successo fallisce. A ricordarcelo i tifosi dello Schalke 04, società tedesca retrocessa in seconda divisione dopo ben 33 anni spesi nella massima serie, periodo arricchito anche da diverse partecipazioni in Champions League.

Al ritorno dalla trasferta che ne ha sancito la matematica relegazione, i giocatori dello Schalke hanno trovato a Gelsenkrichen un gruppo di tifosi ad aspettarli.

Le parole di uno dei giocatori, riportate dal Corriere, descrivono in maniera eloquente l’accaduto: i tifosi ci sono corsi incontro, noi siamo solo scappati. Abbiamo avuto paura, paura vera. Alcuni di noi hanno preso calci e pugni. Sono scioccato, non so come affrontare le prossime partite. Non capisco nemmeno perché siamo stati esposti in questo modo.

Eventi simili, come le minacce che quotidianamente giungono via social al figlio dell’allenatore della Juventus Andrea Pirlo a causa del mancato scudetto, non possono essere scusati perché i colpevoli sono solo una minoranza della tifoseria.

Sono gravissimi a prescindere e marchiano tutto il gruppo.

Perciò, per quanto il richiamo ad un calcio puro, dettato solo dall’amore verso lo sport, sia più che legittimo e corretto, sarebbe più coerente applicare sempre questo principio in primis, evitando comportamenti che non potrebbero essere più lontani dallo spirito dello sport, cercando anche di comprendere le difficoltà di chi sta cercando di gestire l’impresa mostruosamente imponente che il grande calcio europeo è diventato.



Sitografia:











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