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VOTO AI 16ENNI: VERSO UNA POLITICA CHE GUARDA AI GIOVANI?

Enrico Letta, neoeletto Segretario del PD, ha proposto nel suo discorso all’Assemblea Nazionale del Partito di abbassare la soglia di voto ai 16 anni. La proposta non è nuova, è da anni che a più riprese e da istanze di partiti diversi si discute in merito.


L’argomentazione più forte dei contrari all’abbassamento della soglia di voto sembra essere che i sedicenni non sono ritenuti abbastanza maturi per votare. Questo può essere vero in larga parte, ma bisogna sempre stare attenti nel lanciarsi in generalizzazioni vertiginose: possiamo forse dimostrare che un quarantenne, che non si informa di politica, possa essere più “adatto” a votare di un sedicenne che invece lo fa?

Inoltre, dati Istat alla mano, le persone di mezza età che non si interessano di politica sono molte, nel 2019 solo il 28.5% tra i 45-54 anni dichiara di informarsi tutti i giorni e il 23.6% di non farlo mai.


D’altra parte interessanti sono anche gli stessi dati relativi alla popolazione giovanile: solo il 5% dei ragazzi tra i 14-17 anni dichiara di informarsi tutti i giorni, percentuale che sale al 11.5% tra i 18-19 anni. Il 57.3% tra i 14-17 anni dichiara di non informarsi mai, percentuale che scende al 32.8% tra i 18-19 anni.

Tutti questi dati ci aprono a due differenti interpretazioni:

  • L’interesse dei giovanissimi (sotto i 18 anni) per la politica è davvero ridotto, cresce leggermente negli anni che separano dalla maggiore età, di conseguenza non avrebbe senso abbassare l’età di voto.

  • L’incremento di interesse che si registra con l’entrata nel diciottesimo anno d’età potrebbe essere proprio legato alla possibilità di votare, quindi abbassando questa età i giovani potrebbero interessarsi prima di politica.

Non dobbiamo comunque dimenticare che 18 anni, ed eventualmente 16, sono età scelte convenzionalmente, senza nessuna correlazione con l’evidente maturità del soggetto in questione. In quanto tali sembra sensato continuare a far coincidere la soglia della maggiore età (momento in cui agli occhi dello Stato il diciottenne possiede a tutti gli effetti gli stessi diritti e doveri di qualunque altro cittadino adulto) con quella del diritto di voto. L’art. 48 della Costituzione per individuare l’elettorato attivo fa riferimento a tutti i cittadini che hanno raggiunto la maggiore età. Si dovrebbe quindi abbassare la soglia della maggiore età a 16 anni modificando l’art. 2 del Codice Civile o modificare la disposizione costituzionale introducendo una data specifica per il diritto al voto.


Mantra degli ultimi anni è diventato ripetere che “la politica non si interessa abbastanza dei giovani”, il che è assolutamente corretto, basti pensare alla recente mobilitazione giovanile passata con lo slogan #unononbasta e che richiedeva un maggior investimento nei confronti del mondo giovanile con i fondi del Recovery Plan.

Abbassare la soglia di voto potrebbe quindi essere interpretato come un atto simbolico di apertura della politica nei confronti dei più giovani, anche considerando che il nostro Paese ha il “bel primato” di avere la popolazione più vecchia d’Europa.

Parliamo di atto simbolico anche perché i ragazzi tra i 16 e 17 anni costituirebbero comunque solo il 2.16% dei votanti.


Ma siamo sicuri che aumentare il bacino di giovani che possono votare corrisponda ad un incremento di interesse della politica nei loro confronti? In fondo se non si sentono rappresentati da alcun partito, a cosa serve questo diritto in più? Le istanze giovanili sono chiare a tutti: tutti conoscono i problemi, ma pochi mettono in atto soluzioni concrete. Anche se più giovani potranno votare i partiti, le loro prerogative rimarranno le stesse di oggi, se non ci sarà un radicale cambiamento di prospettiva.

Più che di interesse teorico per i giovani, a cui questa riforma sembra mirare, abbiamo bisogno di una reale presa di consapevolezza da parte della politica del fatto che “Chi non investe nei suoi giovani non ha futuro.


Resta senza ombra di dubbio l’importanza di puntare sulla formazione e l’educazione del mondo giovanile e la scuola in questo dovrebbe avere un ruolo fondamentale. Siamo sulla buona strada con l’introduzione dell’Educazione Civica nelle scuole, ma quello che va riformato è l’approccio con cui le tematiche d’attualità vengono affrontate: prima di tutto parlandone, facendo nascere il dibattito, sviluppando il pensiero critico dello studente, in modo che possa farsi una sua idea del mondo che lo circonda e votare con cognizione di causa quando sarà chiamato a farlo.


La politica dovrebbe guardare alle tante associazioni giovanili che stanno nascendo sul territorio negli ultimi anni, alla partecipazione dei giovani e giovanissimi a difesa delle proprie battaglie (basti guardare a fenomeni evidenti come Fridays for future, fino anche alle recenti proteste anti-DAD).

Possiamo citare un altro esempio virtuoso che mira ad incrementare la partecipazione giovanile: nel 2011, mediante legge regionale, la Toscana ha istituito un Parlamento Regionale degli Studenti per i ragazzi delle scuole secondarie di secondo grado. Finalità evidenti sono quelle di incrementare la partecipazione giovanile, promuovere progetti di cittadinanza attiva, elaborare proposte da presentare ai decisori politici su tematiche che riguardano il mondo giovane.

Successivamente dal 2018 è stato istituito anche il Consiglio Nazionale dei Giovani con funzioni di rappresentanza giovanile e collaborazione con le istituzioni.


Ci sono tanti giovani che hanno voglia di fare, di interessarsi, di mettersi in gioco, votare non è l’unico modo per “fare politica”.

Le istanze presentate dal mondo giovanile negli ultimi anni sono tante, la politica dovrebbe evitare di prendere decisioni miopi che puntano al consenso e non hanno uno sguardo lungimirante sul futuro. Noi giovani siamo qui, pronti ad aiutare come serve, a condividere le nostre idee. Basta che ci sia qualcuno, dall’altra parte, ad ascoltare.


Silvia Garbelli



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