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Trattativa Stato-terroristi: il caso (non eccezionale) di Silvia Romano

Aggiornamento: 2 apr 2023

Negli ultimi giorni abbiamo assistito a un forte scontro a suon di testate giornalistiche, tweet e post sul caso di Silvia Romano.

La volontaria milanese di 25 anni nel 2018 si trovava in Kenya, dove era un’educatrice per bambini nel villaggio di Chakama in un progetto coordinato dalla onlus Africa Milele.

Il 20 novembre 2018 Silvia fu rapita da tre uomini del gruppo di jihadisti somali di al-Shabaab, affiliati anche al più noto al-Qaida, che da anni controlla alcune parti del territorio somalo.

Dopo mesi di prigionia, stando a quanto riportato dal Corriere della Sera, nell’estate del 2019 i servizi segreti italiani ricevettero un filmato dai terroristi che attestava che Silvia Romano fosse viva e in salute.

Da lì si sarebbe dunque intensificato il lavoro dell’intelligence che avrebbe portato alla liberazione della volontaria il 9 maggio 2020, con il così dibattuto atterraggio all’aeroporto di Ciampino, dove ad attenderla, oltre ai familiari, erano presenti il Presidente del Consiglio e il ministro degli Esteri.

Ciò che ha infiammato il dibattito sui social e, purtroppo, anche sulle nostre maggiori testate giornalistiche, è stato il fatto che la milanese sia scesa dall’aereo militare vestita con il jilbab, abito tipicamente indossato dalle donne musulmane, e che si sia convertita all’Islam durante la sua reclusione.

Da una parte chi loda lo Stato per una sua grande vittoria, per essere riuscito a riportare a casa una connazionale grazie all’abile lavoro dell’AISE (Agenzia informazioni e sicurezza esterna), dall’altra chi critica la scelta della ragazza di essere passata in qualche modo dalla parte dei suoi aguzzini, sostenendo in tal senso l’errore dello Stato che ha pagato il riscatto per una convertita, dove convertita diventa sinonimo di traditrice.


Ebbene, prendere una posizione in merito a questa discussione esula dallo scopo di questo articolo, in quanto riteniamo che essa non costituisca e non debba costituire l’argomento su cui si fondi una discussione democratica in merito a quanto avvenuto. Crediamo piuttosto che il fulcro della questione sia un altro, dai più dimenticato e lasciato scivolare in secondo piano.

I principali giornali italiani, a seguito di inchieste e indiscrezioni, sostengono che la liberazione non sia avvenuta in un blitz ma a seguito del pagamento di un riscatto, che a seconda delle fonti si aggira tra 1 e 10 milioni di euro, in linea anche con i precedenti riscatti pagati per i nostri connazionali rapiti.

Queste notizie chiaramente non possono trovare conferma in nessuna fonte ufficiale: sebbene il dibattito in tal merito sia molto acceso, pagare un riscatto a un’organizzazione terroristica non è consentito, in quanto viola convenzioni internazionali.

Il 9 dicembre 1999, infatti, a New York si conclude la Convenzione internazionale per la repressione del finanziamento del terrorismo, che vede partecipare i paesi appartenenti all’ONU; essa vieta il pagamento a gruppi terroristici di riscatti per il rilascio di ostaggi, evidenziando come tale pratica aumenti la sfera di influenza e di azione di questi ultimi.

Tale convenzione viene ratificata dall’Italia il 27 Marzo 2003 ed entra in vigore il 26 aprile 2003.

Siamo chiaramente tutti contenti che Silvia sia potuta tornare in Italia a riabbracciare la sua famiglia, ma a quale costo? Il diritto del cittadino alla salute garantito dall’articolo 32 della Costituzione italiana prevale su quanto stabilito negli accordi internazionali? Da dove vengono i soldi utilizzati per il riscatto, se chiaramente non possono figurare in nessun bilancio pubblico?


Non si ha la pretesa in queste righe di trovare una risposta che possa dirimere qualsiasi dubbio, ci limiteremo a lasciare qualche dato e spunto di riflessione, perché il lettore giudichi da sé il peso di questa scelta e la sua correttezza.

Al-Shabaab dal 2012 è una cellula di al-Qaida, che dal 2010 a oggi ha un bilancio di decine di migliaia di vittime, tra cui qualche centinaia di occidentali.

Secondo uno studio del Washington Post, tra il 2008 e il 2014 al-Qaida ha raccolto oltre 130 milioni di dollari grazie ai riscatti pagati dai paesi occidentali, che costituirebbero una delle maggiori fonti di reddito per il gruppo terroristico.

L’Italia, buon pagatore, è il secondo stato al mondo, dopo gli USA, per il numero di rapimenti, con 148 cittadini rapiti tra il 2001 e il 2017.

Se da un punto di vista legale emerge evidentemente la violazione dei trattati internazionali, la questione morale che si dipana risulta ben più profonda e più complessa: pagare il riscatto infatti sancisce una sconfitta dello Stato, garante dei diritti della collettività, ma non assistere un cittadino in pericolo è comunque una sconfitta per lo Stato, garante dei diritti del singolo.

Da questa tragica vicenda, sicuramente non emergono vincitori i bambini del villaggio di Chakama, che ora patiranno e pagheranno con la vita ancor più le violenze di al-Shabaab.

Non è vincitrice Silvia Romano, volontaria partita con tante buone intenzioni, che, purtroppo, non per sua colpa, non ha potuto aiutare le popolazioni locali, diventando, anzi, fonte di arricchimento per i terroristi.

Non è vincitore lo Stato italiano, ma vinto: si è piegato ancora una volta ai terroristi finanziandoli e disperdendo soldi pubblici in una grave situazione di emergenza.

Nessuno di noi, concentrati sul velo di Silvia, nessuno di noi, esaltati dalla vittoria del suo ritorno, nessuno di noi è vincitore.


Andrea Pagliuca

 

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA:

Convenzione internazionale per la repressione del finanziamento del terrorismo

Costituzione italiana

New York Times

The Washington Post

Ansa

Corriere della Sera

Repubblica

Libero

Il Giornale

Il Fatto quotidiano


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