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Stato di diritto: non è così semplice come sembra

Aggiornamento: 1 mag 2021

Poche misure nella storia dell’Unione Europea avranno il peso specifico che il NextGenerationEU (chiamato anche Recovery Fund) potrà vantare; tuttavia l’ascesa a questo ruolo si sta rivelando sempre più complicata. Infatti, dopo aver superato lo scoglio dei “Paesi frugali”, fermamente opposti alla mutualizzazione del debito, l’Unione è stata sfidata da Polonia e Ungheria, sostenute dalla Slovenia e da altre forze politiche estere, come la nostrana Fratelli d’Italia. Gli ambasciatori delle due nazioni sopra citate hanno posto un veto sul Bilancio UE, di fatto ostacolando l’erogazione dei fondi. La mossa diplomatica vuole essere un ricatto per l’imposizione di una clausola all’interno del piano europeo sulla condizionalità dello stato di diritto, opposta fermamente da Budapest e Varsavia. Essendo state nel mirino della Commissione Europea da tempo, temono di vedersi bloccati i fondi proprio per questa ragione e quindi chiedono di non dare tale potere alla Commissione, che secondo loro cercherebbe così di imporre il proprio indirizzo politico sulla volontà popolare. D’altro canto, l’Unione Europea da tempo lamenta l’impotenza nei confronti di questi Stati che le impedisce di promuovere efficacemente dei passi in avanti nello stato di diritto.


Proprio quest’ultimo termine è l’oggetto di questo articolo. Per chi fosse interessato la discussione tra Bruxelles e Budapest e Varsavia sarà esplorata nell’editoriale in uscita il prossimo weekend. Il suo uso è molto diffuso, però poche persone conoscono precisamente il suo significato. Lo stato di diritto, definito nei documenti ufficiali dell’Unione rule of law, è il principio secondo cui tutti gli individui e gli enti giuridici, compresi quelli pubblici e governativi sono ugualmente sottoposti a un sistema di leggi (e precedenti, in alcuni sistemi giudiziari).


Ovviamente questo principio non è stato formulato tutto di un tratto, ma è stato frutto di un laborioso percorso che dalle prime concezioni filosofiche lo ha poi portato all’attuazione pratica in politica. Infatti dei precursori di questo tipo di pensiero possono essere rintracciati in Aristotele e Cicerone, che ritenevano che anche chi detenesse il potere dovesse sottostare alla legge. In età medievale, l’Inghilterra iniziò il percorso verso la realizzazione pratica di questo principio: prima Alfredo il Grande, re anglosassone, ispirato da alcuni principi biblici contenuti nel Deuteronomio e nel Levitico, nel suo Doom Book fece in modo che la legge fosse applicata allo stesso modo a prescindere dal ceto sociale, poi nel 1225 la nobiltà riuscì a costringere re Giovanni a firmare la Magna Charta, con cui il potere dello stesso re veniva vincolato dai termini della legge e limitato dai diritti naturali dei cittadini. Il valore di questo documento fu testimoniato dal periodo di conflitto interno e di guerre civili, terminato con la Gloriosa Rivoluzione, con cui il Regno Unito affermò e integrò i principi del documento. In seguito a questo, sempre più pensatori inglesi si concentrarono su questo principio, congiuntamente ad alcuni colleghi d’oltremanica e oltreoceano. Senza dilungarsi troppo, lo spirito dell’epoca si può sintetizzare nella seguente formula: Lex, Rex di S. Rutherford, ribaltamento del tradizionale Rex lex. La legge, e non il potente di turno, diventa il paradigma.


Ai giorni nostri le interpretazioni più popolari dello stato di diritto sono due: quella formalista e quella sostanzialista. La prima ritiene che il concetto di stato di diritto vada limitato ad attributi procedurali e non alla giustizia della legge in sé. Così, limitandosi alla sola rule of law, la legge deve essere generale, ovvero applicata a tutte le classi di individui e organizzazioni, pubblica, ovvero senza che se ne celi alcuna parte, applicata prospettivamente, cioè non deve essere retroattiva e criminalizzare le azioni prima legali di un individuo, coerente, uguale per tutti e certa, cioè deve portare a un risultato certo per ogni situazione data. La seconda interpretazione, invece, ritiene che dal principio dello stato di diritto sia necessario ricavare anche libertà personali e fornire loro base.


Compreso il concetto di stato di diritto, si può affrontare con maggiore chiarezza la questione in esame. La clausola della condizionalità dello stato di diritto prevede che, in caso di violazioni dello stesso, la Commissione abbia il potere di bloccare l’accesso ai fondi europei alle nazione che non aderiscono più ai principi dell’Unione. Ciò le permette di poter “forzare” la mano dei paesi che sperimentano una deriva illiberale e di avere il coltello dalla parte del manico in caso di deriva autoritaria, visto che la semplice revoca del diritto di voto, prevista dall’articolo 7 dei Trattati UE, non influisce altrettanto pesantemente sulla reputazione e sulle capacità del governo. Polonia e Ungheria, d’altro canto, temono che l’Unione usi questi poteri per imporre la propria corrente politica generale, a favore di maggiori protezioni per i cittadini LGBTQ+ e dell’accesso legale all’aborto a prescindere dalla condizione con cui si è arrivati alla gravidanza, sulla volontà del loro partito e del loro popolo.


Questa questione sarà sviscerata in un futuro editoriale. A prescindere dalla situazione specifica, è importante ricordare che lo stato di diritto è la base di uno stato liberale e democratico, e che perciò è importante proteggerlo e promuoverlo a livello nazionale e internazionale. Questo concetto viene spesso ignorato, o dato come scontato, ma è la più importante garanzia di giustizia per i cittadini e in quanto tale va protetta. Anche il minimo attacco può costarci tutto, perché come diceva Leon Jaworski: “Quando dittatori e tiranni tentano di distruggere le libertà dell’uomo, il loro primo obiettivo è la professione legale e lo stato di diritto.”


Mathias Caccia


AGGIORNAMENTO Il 10 dicembre la Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen ha comunicato il raggiungimento dell'accordo sul bilancio UE e su NextGenerationEU. Di conseguenza è caduto il veto di Polonia e Ungheria sulla clausola di condizionalità sullo stato di diritto. Non è ancora chiaro se i due paesi abbiano ottenuto una concessione dall'UE e quale sia l'entità della stessa, data l'assenza di commenti delle parti coinvolte su questo aspetto della trattativa.

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