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Quando la politica era un’arte per statisti

Aggiornamento: 9 mag 2021

In un’espressione attribuita a Papa Paolo VI, la politica viene descritta come “la forma più alta ed esigente di carità”. Se volessimo parafrasare tali parole, potremmo definire la politica come la manifestazione più elevata di umanesimo e umanità, di servizio volto al bene comune dell’intera comunità, condotto con competenza e lungimiranza, responsabilità e rispetto, a parole e a fatti. Questa, almeno, la nostra aspettativa. Tuttavia, stiamo assistendo da diversi anni, purtroppo, ad un deterioramento delle attitudini e dei comportamenti di coloro che ricoprono ruoli istituzionali e che praticano l’arte della politica: non solo talvolta ci sembra che l’utile personale prevalga sul bene comune, al quale la politica per natura aspira, o per lo meno dovrebbe, ma molto spesso, forse troppo, le azioni e i discorsi dei nostri rappresentanti non ci appaiono all’altezza del ruolo esemplare, politico e sociale, che chi amministra la cosa pubblica è chiamato a rivestire. Ne sono esempio gli incresciosi avvenimenti che hanno interessato il Consiglio regionale della Lombardia lo scorso martedì, 26 gennaio. Ma prima è necessario compiere un passo indietro. Da mesi ormai siamo abituati a vedere le regioni della nostra penisola suddivise in tre aree di criticità (rossa, arancione e gialla), con misure e restrizioni differenziate al fine di contenere la diffusione del Covid-19 nel nostro Paese. Tale suddivisione viene effettuata sulla base dei dati trasmessi dalle singole Regioni, analizzati dall’Istituto Superiore di Sanità sulla base dei 21 indicatori identificati dal Ministero della Salute, in accordo anche con il documento “Prevenzione e risposta a Covid-19”, redatto dall’Istituto Superiore di Sanità e sottoscritto dalla Conferenza Stato Regioni. In definitiva, ben si comprende quanto sia essenziale, per la qualità dei dati trasmessi come anche delle misure adottate, la sinergia tra Stato e Regioni, coordinati dall’ISS come organo terzo. Tuttavia, non sempre tale cooperazione si è rivelata efficiente, come dimostra quanto accaduto a regione Lombardia, dichiarata zona rossa nella settimana dal 18 al 24 gennaio, quando tutti i dati raccolti spingevano in realtà in direzione della zona arancione. Tutti, tranne uno, in controtendenza, che si è rivelato decisivo per l’ingresso in zona rossa: si tratta dell’Rt, l’indice della diffusione del virus, il cui valore era stato calcolato dall’ISS, sulla base dei dati inviati da Regione Lombardia, pari a 1,4, superiore dunque alla soglia di 1,25 (discrimine tra la classificazione in zona rossa e arancione). La genesi di tale discrepanza tra l’Rt e gli altri indicatori è stata individuata dagli epidemiologi dell’ISS nella mancata compilazione, da parte della Regione, della voce relativa allo “stato clinico” dei casi Covid-19, che ha così portato ad una sovrastima del numero di casi su cui l’ISS calcola l’Rt e ad una conseguente sovrastima del valore di Rt. In effetti, l’inserimento di questa nuova variabile nel computo ha permesso un ricalcolo dell’Rt e la riclassificazione della regione in zona Arancione. Dal canto suo, il Presidente di Regione Lombardia, Attilio Fontana, ha difeso l’operato della sua amministrazione, lamentando un “mal funzionamento dell’algoritmo per il calcolo dell’Rt” nonché una parzialità politica ai danni della Lombardia non solo da parte del Governo, ma anche dello stesso ISS. A queste accuse, l’ISS ha risposto affermando che “solo le regioni possono aggiornare e rettificare i dati presenti sul data-base e solo alle regioni spetta il compito della verifica dei dati e della loro congruità, poiché sulla loro solidità si basa l'attendibilità della stima dell'Rt elaborata dall'ISS”. Tale situazione di tensione e incomprensione è sfociata nei fatti sgradevoli, cui abbiamo fatto cenno in principio, verificatisi durante la seduta del Consiglio regionale lombardo; anzi, per l’esattezza, ancora prima del suo inizio, quando il consigliere del Partito Democratico, Pietro Bussolati, ha consegnato al governatore Fontana un abaco, ironizzando sull’errore nel calcolo dei dati. Dopo l’intervento del governatore Fontana, chiamato a riferire su questa vicenda, nell’aula consiliare regionale è scoppiata una vera e propria bagarre, che ha coinvolto maggioranza e minoranza. Il consigliere di +Europa, Michele Usuelli, si è inginocchiato davanti ai banchi della Giunta chiedendo la pubblicazione di tutti i dati sanitari disaggregati e protestando contro gli errori commessi, a suo avviso, dall’amministrazione Fontana nella trasmissione dei dati dal giugno scorso, mentre i colleghi di minoranza si sono alzati dai loro scranni esponendo cartelli con le scritte «Verità per la Lombardia», «La Lombardia merita di meglio» e «La zona rossa è colpa vostra! Fontana inadeguato»; dai banchi della maggioranza, invece, da un lato si è levato il coro «A lavorare, andate a lavorare!», dall’altro alcuni consiglieri si sono avvicinati ad Usuelli gettandogli monetine e tentando di ostacolare la videoripresa del collega. Dopo una prima sospensione, che ha visto l’intervento in aula non solo dei commessi per la rimozione dei cartelli, ma anche della Digos per l’allontanamento di Usuelli e l’espulsione di otto esponenti della minoranza, il presidente del Consiglio regionale, Alessandro Fermi, ha ripreso i lavori, i quali sono stati di nuovo sospesi, quasi immediatamente: l’opposizione, che avrebbe poi lasciato l’aula nel pomeriggio, si è prodotta in urla e fischi, mentre i consiglieri della Lega hanno mostrato cartelli contro il Ministro della Salute, Roberto Speranza, e contro il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, effigiati rispettivamente l’uno con le orecchie da asino, l’altro con un naso allungato, come Pinocchio. Al di là del merito della questione dibattuta, che necessita, a nostro avviso, di estrema chiarezza e trasparenza, ci rammarica e sconforta profondamente avere avuto saggio di una prassi politica di questo genere, che nelle sedi istituzionali non si esime dall’assumere toni derisori e aspri e dal prodursi in gesti ingiuriosi o disarmanti: tale degenerazione nei comportamenti non solo impedisce un clima costruttivo, di dialogo e di rispetto reciproco, sempre essenziale per un’azione a beneficio della collettività, ma svilisce e disonora le Istituzioni, che il Consiglio è chiamato a rappresentare. Siamo consapevoli che ai giorni nostri il dibattito politico comporta spesso scontri e tensioni, dettati da pensieri e visioni differenti, condotti talora mediante discorsi appassionati e vigorosi, talvolta con toni forse eccessivamente accesi. Allo stesso modo, riteniamo fondamentale per un esercizio politico pienamente democratico un confronto dialettico che sia impegnato e propositivo, che guardi alla pluralità di prospettive come ad un’opportunità e che porti alla miglior sintesi di idee e progettualità nell’interesse dell’intera comunità e società civile. Tuttavia, non possiamo non manifestare la nostra insofferenza dinanzi ad avvenimenti come questi, che sono distanti dalla nostra visione di politica e che allontanano i cittadini, anziché avvicinarli. Sogniamo, infatti, una classe politica che si impegni sempre con costanza e responsabilità a rappresentare le Istituzioni, dotata di giudizio e – per riprendere un pensiero dell’allora senatore degli Stati Uniti d’America, John Fitzgerald Kennedy – “della capacità di esercitare quel giudizio in una posizione da cui […] determinare l’optimum”: agendo, in definitiva, non solo nel più alto e ampio interesse possibile, ma anche con lo stile più adatto e consono alle varie cariche istituzionali e alle sedi in cui esse sono esercitate. Una classe politica che, al di là delle legittime diversità, sia sempre accomunata da spirito di collaborazione e rispetto reciproco, da ossequio istituzionale nonché dalla cordiale consapevolezza di avere – citando alcune parole di Aldo Moro – “il dovere di andare più lontano e più in alto”.


Giacomo Rossi



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