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Più grandi di uno stato, più piccoli dell’UE: i corpi sovranazionali d’Europa

Aggiornamento: 2 apr 2023

Il Consiglio nordico


Spesso la memoria storica, specialmente la meno allenata, schematizza e semplifica periodi o tendenze per renderne più agevole l’esame. I secoli hanno tendenze uniformi, soprattutto nell’età moderna: seicento barocco, settecento illuminista, ottocento romantico e (al limite) industriale. Il novecento, in virtù della sua prossimità, ci appare irrimediabilmente frantumato nei due grandi monconi che sono l’apocalisse delle Grandi Guerre da un lato, e dall’altro il bipolarismo, la ricostruzione, il boom economico.


Tra le tendenze europee di questo secondo novecento, l'avvicinamento e l'integrazione dei paesi già più prossimi culturalmente e geograficamente ha avuto largo spazio, lo sfacelo dei conflitti mondiali ancora sospeso sulle macerie del continente; e in un'Europa tale, non sorprende che già nel 1948 il ministro degli Affari Esteri svedese abbia proposto una cooperazione più stretta fra i paesi nordici. Tanto più che già nel 1875 Danimarca, Svezia e Norvegia si erano strette in un unione monetaria scandinava durata quarant'anni, e nel 1886 era nato il Comitato di cooperazione nordico del movimento operaio, un'unione di partiti socialdemocratici e sindacati dei tre paesi.


Nel 1952, poi, nasceva il Consiglio Nordico, che riuniva, oltre ai tre paesi menzionati, anche l'Islanda, separatasi dalla Danimarca nel 1918. Si aggiungerà ai quattro anche la Finlandia nel 1955, quando, sotto la nuova guida di Khrushchev, l'URSS allenterà le redini dell'ultimo paese scandinavo. Dagli anni '70 la Danimarca tenterà di allacciare i paesi nordici all'Unione Europea, riuscendo ad avvicinare Norvegia, Svezia e Finlandia all’idea di entrare a farne parte. Il referendum per stabilire l'entrata nell'UE del 1994 porterà Svezia e Finlandia all'ingresso nella comunità europea, mentre la Norvegia sceglierà di restarne fuori.


Oggi il lavoro comune di questi paesi (che si confrontano a livello parlamentare con riunioni a scadenza fissa e variabile) si orienta verso nuove problematiche, non esclusivamente economiche: l'attenzione al cambiamento climatico e alle fonti di energia rinnovabili, la parità di genere, la diffusione di un'immagine della cultura nordica...

Notevole anche la decisione di mostrarsi lungimiranti, con un piano a lungo termine per il 2030, che promette sostenibilità ecologica, economica e sociale.


Di recente la collaborazione si è rivolta anche verso l'esterno, con il coinvolgimento della Germania e di Lettonia, Estonia e Lituania nelle discussioni riguardanti il mar Baltico, che ora coinvolgono tutti i paesi che vi si affacciano, ad eccezione della Russia, silenzioso gigante con forti interessi nell'area (l'oblast di Kaliningrad è un enclave di importanza strategica: fornisce alla Russia un comodo sbocco sull'oceano).


I paesi nordici sono economicamente saldi, con un welfare state spesso chiamato in causa per dimostrare il meglio a cui può aspirare un'impostazione “assistenzialista”. Certamente le somiglianze culturali e linguistiche (Danese, Svedese e Norvegese sono, per gradazioni diverse, mutuamente intelligibili!) facilitano accordi comuni; dall'altro lato l'armonia nell'opera solidale è il risultato di più di mezzo secolo di volontario avvicinamento reciproco. Una certa lentezza nella definizione delle aree di competenza di questa unione ha fatto sì che questa non venga vissuta come un’imposizione dall’alto, ma come un processo graduale su più livelli. Così, di fronte a un futuro che sempre più appare dominato da blocchi di dimensioni continentali, le singole entità statali ricercano una rilevanza globale stringendosi in gruppi più o meno confederati



Emanuele




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