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Più grandi di uno stato, più piccoli dell’UE: i corpi sovranazionali d’Europa

Aggiornamento: 2 apr 2023

Il gruppo di Visegrad



Nel disgelo dell’Est Europa del 1991 si ritrovano a Visegrad, in Ungheria, i capi di Stato di Ungheria, Polonia e Cecoslovacchia, per accordarsi sulla creazione di un corpo sovraregionale che aiuti a raggiungere i valori condivisi di Democrazia e libertà, che aiuti all’ingresso nel libero mercato, che sradichi i resti del sistema totalitario rigettato ora dalle nazioni.

Nel 2004 hanno compiuto un passo importante in un’ottica di ulteriore integrazione internazionale entrando a far parte dell’Unione Europea, e armonizzando i propri obiettivi per essere non in competizione con l’Europa, ma per curare con un occhio di riguardo gli obiettivi comuni europei nei paesi firmatari (nel frattempo divenuti quattro, con la dissoluzione della Cecoslovacchia nel 1993), che condividono una storia e una cultura particolari, all’interno del variegato panorama del continente.

Oggi il gruppo di Visegrad, se considerato come un corpo unico, è la quinta potenza economica europea e la dodicesima mondiale. La cooperazione fra i paesi ha favorito una crescita costante del sistema economico e produttivo, e i confronti fra i corrispettivi Governi hanno favorito posizioni unificate su molti fronti.


I Paesi del gruppo di Visegrad (o V4) finanziano iniziative culturali, economiche, accademiche, e si confrontano regolarmente sulle politiche da adottare per l’intero gruppo. Questo confronto si dimostra sul piano pratico con riunioni regolari fra i membri delle varie parti del governo, più importanti fra tutte le riunioni fra i primi ministri dei paesi in un summit annuale, all’interno del quale uno dei paesi, a rotazione, ricopre la presidenza. Anche i ministri degli esteri e i membri dei rispettivi parlamenti sono incoraggiati alla cooperazione all’interno del gruppo.

L’unica organizzazione all’interno del gruppo è il Fondo Internazionale Visegrad, istituito nel 2000 e con un budget in lievitazione dal 2004 al 2014, che offre borse di studio, di lavoro e finanziamenti, ed è presieduto dalla Conferenza dei Ministri degli Esteri, che una volta all’anno si riunisce per stabilire i contributi dei singoli paesi al fondo comune.


Eppure di recente si sono presentati attriti fra i paesi, con una divisione in due gruppi: Cechia e Slovacchia da una parte, Polonia e Ungheria dall’altra. Queste divisioni sono molto visibili anche dall’esterno, basti guardare i risultati delle votazioni del Consiglio Europeo, dove spesso Polonia e Ungheria votano allo stesso modo, così come Cechia e Slovacchia. E laddove per questi ultimi due paesi la sintonia è in parte giustificata da un’ovvia vicinanza culturale (dopotutto sono stati unificati fino a un trentennio fa) per quanto riguarda i primi due è necessaria qualche cognizione di politica locale per contestualizzare meglio una vicinanza che appare curiosa.

In realtà Polonia e Ungheria sono su una traiettoria politica simile per molti versi, ed è comprensibile che siano vicini anche sul fronte della politica estera: il partito di destra Diritto e Giustizia in Polonia ha vinto le elezioni parlamentari e quelle presidenziali del 2015, e ha al momento una forte presa sia sulla Camera che sul Senato, grazie a un premio che conferisce al partito la maggioranza assoluta in entrambe le camere. Analogamente, la coalizione fra Fidesz, il partito di Viktor Orban, e il Partito Popolare Cristiano Democratico, raccoglie consensi dalla crisi politica ungherese del 2006, che ha visto il fallimento del Partito Socialista Ungherese e la definitiva ascesa della destra nazionalista. Con due maggioranze assolute di destra al potere, i due paesi hanno semplicemente cercato di rafforzare il potere interno aiutandosi reciprocamente, e la strategia pare aver funzionato: al 30 di marzo 2020, a causa dell’emergenza sanitaria del COVID, il primo ministro Ungherese Orban ha ricevuto pieni poteri dal parlamento, rifiutando persino un emendamento proposto dall’opposizione che avrebbe limitato la durata dei poteri straordinari a 90 giorni.

Che cosa riserva il futuro per il gruppo di Visegrad? La presidenza slovacca del 2018/19 ha cercato di promuovere apertamente un’Unione Europea più forte. La crescita economica dei paesi membri, sebbene rallentata dalla crisi sanitaria, resta esplosiva, e con un’economia più forte aumenterà il loro peso decisionale all’interno dell’EU. Il punto di rottura raggiunto dalla democrazia ungherese potrà essere centrale nel dibattito sul ruolo che l’Europa deve svolgere per salvaguardare gli ideali che si è imposta. Comunque si evolva la situazione, pare evidente che questi paesi fino ad ora ritenuti marginali andranno ricoprendo un ruolo sempre più importante nell’economia (e quindi nella politica del continente), e capire i meccanismi che li coordinano può aiutarci a prepararci a questo spostamento di equilibri.


Emanuele Alleva

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