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Le statue in tribunale: chi potrà continuare a essere onorato?

Aggiornamento: 2 apr 2023

In un raid in prima serata dei giovani hanno gettato vernice sulla statua di Indro Montanelli, giornalista italiano gambizzato dalle Brigate Rosse nel 1977, hanno scritto con lo spray “razzista stupratore”, per poi abbandonare in fretta la scena del misfatto. Certamente l’infelice atto non ha certo toccato il giornalista, che in vita era già solito ricevere molte critiche, e non ha neppure aiutato la causa dei rivendicatori, Rete Studenti Milano e LuMe, che chiedono a gran voce la rimozione della statua.


A riportare sotto le luci della ribalta il monumento è stata la richiesta al sindaco Sala dei Sentinelli di Milano (organizzazione nata nel 2014 per combattere ogni discriminazione) di rimuovere l’opera e ribattezzare il parco, non cavalcando, a detta loro, l’onda delle proteste generate dalla morte sotto custodia di George Floyd. Il gruppo credeva infatti che fosse ingiusto onorare Indro Montanelli, richiamando la relazione di madamato che egli aveva intrattenuto con Destà, giovane bilena di 12 o 14 anni. Durante la sua esperienza come volontario nel reparto indigeno degli Ascari eritrei durante la campagna d’Etiopia, egli contrasse il matrimonio per madamato (da lui definito “leasing” o “uso a termine”), dopo aver pagato il prezzo stabilito dal padre e redatto un contratto col capo paese. La relazione consisteva quasi esclusivamente nel “servizio” offerto dalla minore. Montanelli testimoniò, nell’ultima versione della vicenda da lui esposta, la sua fatica nel passare oltre il suo odore e la difficoltà nello stabilire una relazione sessuale, essendo stata infibulata (aveva subito alla nascita una mutilazione genitale femminile). Questa “barriera pressoché insormontabile” fu passata solo grazie al “brutale intervento della madre”; tuttavia la bambina rimaneva “insensibile”. Il giornalista, nella suddetta versione, non si spinge oltre, rispondendo alla domanda di una diciottenne. Però la natura dei rapporti di madamato dell’epoca certo non alleggeriscono un già deplorevole ritratto della relazione: in sua difesa Montanelli dichiarò sempre che era uso abissino, che “nei Paesi tropicali a quattordici anni una donna è già donna, e passati i venti è una vecchia” e che infine Destà (o Fatima, in versioni precedenti) non nutrisse rancore e che abbia addiritura chiamato il suo primogenito (si era sposata con un bulukbasci alla fine della guerra) Indro. Per quanto egli possa dire che fosse normale, l’uso era già stato condannato da Ferdinando Martini, governatore dell’Eritrea, quattro decenni prima; tuttavia era ancora adottato, per evitare i rischi di malattie sessualmente trasmissibili che comportava la frequentazione di prostitute.


I Sentinelli, in virtù di questa vicenda, hanno chiesto il 10 giugno la rimozione della statua: chi vorrebbe onorare e assumere come modello una persona che ha compiuto azioni del genere? A difendere la statua sono intervenuti molti personaggi appartenenti a diverse fazioni politiche, portando diverse argomentazioni: si passa dal semplicistico “Giù le mani dal grande Indro Montanelli! Vergogna la sinistra, viva la libertà” a chi critica ai Sentinelli di leggere con l’occhio del presente le vicende del passato.

Questi ultimi ribattono dicendo che Montanelli non viene da un passato lontano, ma è piuttosto contemporaneo, avendo scritto della vicenda l’ultima volta alle porte del XXI Secolo e non ha, a loro dire, mai espresso profondo pentimento. Però, perché non manchino tessere al mosaico del dibattito, è importante dire che il monumento a Montanelli porta scritto alla base “giornalista”: è ricordato il Montanelli che anche da fascista manifestava un certo anticonformismo, cercando di affermare una minima libertà di parola, il Montanelli che è stato condannato a morte per le sue opinioni scostanti dalla RSI, il Montanelli gambizzato dalle Brigate Rosse, che resiste e resta in piedi. Di lui di certo non si celebrano le macchie deplorevoli della vita.

Il dibattito è acceso anche in altre parti del globo: negli Stati Uniti le statue confederate (specie quelle prodotte negli anni 60 in risposta al movimento per i diritti civili di MLK) sono al centro della discussione, mentre in Inghilterra sono Colston e Churchill a essere posti sotto il giudizio delle masse in protesta.


Vedendo le immagini delle statue vandalizzate o buttate in mare è però facile chiedersi: cosa succederà quando saremo noi gli imputati e la nostra memoria sarà macchiata? Cosa sopravviverà al giudizio della storia? Ai posteri l’ardua sentenza

Mathias Caccia

 

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