La pubblicità, nata plausibilmente con la rivoluzione industriale - anche se non mancano testimonianze ante litteram - si è evoluta nel tempo seguendo, ma anche guidando, le istanze culturali (nel senso più ampio del termine) della società.
Nel mondo contemporaneo, disgregato e relativistico, essa è in grado di propagandare un sistema universalistico di valori fino a costituire un vero e proprio ordinamento idealistico, che, inglobando concettualmente i principali archetipi umani, fornisce, alla maniera delle religioni, risposte ai quesiti esistenziali. Difficile e controverso è ricostruire il percorso che ha portato a tale predominio, i cui prodromi possono essere ravvisati nella corsa al consumo, seguita alla ricostruzione postbellica.
Di fatto nella società cosiddetta del benessere la pubblicità ha svolto un ruolo determinante e ha dato il via un processo culturale degenerativo che, con la complicità dei social, ha originato l’odierno culto dell’immagine in cui l’apparire e il mostrare di avere determina tout court l’essere e la considerazione degli altri.
In tale società si vale per quello che si esibisce e non per quello che si è; perciò, gli oggetti diventano simboli della propria realizzazione esistenziale da ostentare con orgoglio agli altri.
Le abilità personali, la cultura (nell’accezione propria del termine) e anche certi sistemi valoriali non sono più appetibili come in un non lontano passato, anzi nella generale reificazione, talvolta sono oggetto di derisione o di esclusione sociale.
Si vive in un generale contesto di mutazione come asserisce Alessandro Baricco nel suo celeberrimo saggio “I Barbari”.
Consapevole, dunque, delle più segrete aspirazioni umane, indagate negli anni passati con sondaggi e indagini di mercato, ora, con ingannevoli e invisibili sistemi digitali volti a fornire anche soluzioni personalizzate, “il medium dei media” veicola subdolamente il messaggio di un vincente stile di vita facilmente e “democraticamente” raggiungibile da chiunque lo voglia attraverso l’acquisto dei prodotti reclamizzati.
La sua pervasività non è solo tematica, ma anche spaziale, in quanto la ritroviamo in qualsiasi spazio pubblico, e temporale dal momento che copre ogni ricorrenza della vita.
Essa prolifera sfruttando le debolezze dei singoli, creando bisogni e incertezze risolvibili con un acquisto.
Tutto è a disposizione di tutti, a patto che si abbia la possibilità economica di acquisirlo.
Da qui, nell’odierna società materialistica e consumistica, il ruolo centrale del denaro che si configura come mezzo esclusivo e necessario per procurarsi prodotti e vivere “esperienze” che -nella logica dominante- dovrebbero concretizzare la realizzazione personale e assicurare felicità, ma che, come miraggi, svaniscono quando si raggiungono per manifestarsi in qualche altro oggetto del desiderio.
Dimenticata la lezione di Epicuro sulla felicità, che per il filosofo greco è essenzialmente assenza di desideri, gli individui della moderna società vivono nell’angoscia più profonda - mai come nell’epoca attuale si è ricorso all’uso di antidepressivi e sedativi – di essere inadeguati e perciò isolati rispetto agli standard imposti dalla propria epoca, normalizzati per l’appunto dalla pubblicità.
Di fatto la società, sebbene viva nell’illusione di essere completamente libera, è omologata e vincolata a “condotte normative” vessanti che inducono a consumare sempre di più alla ricerca di un’attestazione di superiorità sociale.
La pubblicità ha modificato anche l’etica del lavoro, avvilendo l’attività professionale a mero mezzo per procacciarsi denaro al fine di fare acquisti; infatti, oggi è difficile rintracciare nella comunis opinio quei nessi, tra professione, realizzazione personale e concorso al “progresso materiale o spirituale della società” attestati dalla Costituzione italiana.
Promotrice del nuovo, la pubblicità, in ultima istanza, difende gli interessi economici e politici di una ristretta oligarchia plutocratica, che, restia a cambiare gli assetti sociali, de facto governa a livello mondiale le società complesse come quelle odierne.
Il dominio della pubblicità è tanto perentorio e tenace quanto il suo modus operandi è dolce e persuasivo: immagini, parole e musica invitano, come Sirene moderne, a una vita piena di successi, di gratificazioni e di facile ascesa sociale; niente è imposto, ma tutto è suggerito, proposto in un clima di apparente libertà per cui si mostra all’individuo, potenziale consumatore, l’esistenza della possibilità di un “miglioramento” del proprio stile di vita.
Pienamente consapevole della propria supremazia culturale liberticida, la pubblicità permette anche che si scriva e si dibatta contro di essa: la libertà è apparentemente la sua forza.
Da tale forma di schiavitù non sono esentati dalle agenzie di marketing neppure i bambini, in quanto, dal momento che essi possiedono un alto potere di convincimento sui genitori, sono sottoposti a un notevole bombardamento mediatico che li raggiunge anche all’interno delle aule scolastiche con canali didattici acquisiti dalle istituzioni formative in cambio di materiale didattico.
Predisponendo programmaticamente la confusione tra la felicità e serenità con il benessere materiale, è innegabile che la pubblicità abbia contribuito a immiserire la vita degli uomini minimizzandone le istanze spirituali e morali.
Alessia Gadda
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