Le regole dettate dai talebani nei confronti delle donne afghane sembrano riportare la loro condizione a quella del primo regime. Resteranno inermi di fronte a queste imposizioni?
“Una donna sarà come una roccia nel letto di un fiume, che sopporta senza lamentarsi, la sua bontà non infangata, ma forgiata dalle disgrazie che si sono rovesciate su di lei.”
La citazione, presa dal libro “Mille splendidi soli” di Khaled Hosseini, è riconducibile al contesto del primo regime dei talebani (1996-2001), nel quale è ambientato il romanzo.
Eppure non sarebbe di certo difficile sentir pronunciare tale frase anche in questi ultimi mesi del 2021, che hanno visto i talebani riprendere il potere, portando con sé anche tutte le regole imposte sulla popolazione.
A subire maggiormente la natura oppressiva del regime talebano sono le donne, private di ogni tipo di libertà. Secondo le regole imposte durante il primo regime le donne potevano uscire di casa solo se accompagnate da un maschio guardiano (maharram). Allo stesso modo negli ultimi giorni è stato introdotto il divieto con parole leggermente diverse, che tuttavia esprimono lo stesso significato: le donne non possono percorrere distanze maggiori di 72 chilometri senza un accompagnatore maschio.
Quest’ultima imposizione inoltre limita le donne anche nel muoversi con i mezzi, dal momento che vieta a coloro che non indossano il velo (di cui non viene specificato il tipo) di prendere il taxi.
Allo stesso modo, anche le norme riguardanti l'istruzione femminile sono state riprese dal primo regime, modificandone anche in questo caso la forma. Tali regole non hanno vietato esplicitamente alle donne di andare a scuola dopo i 12 anni (come accadde alla fine degli anni ‘90), bensì hanno aperto le scuole secondarie esclusivamente ai maschi.
La legge impedisce di conseguenza alle ragazze di accedere al percorso universitario, dal momento che l'iscrizione necessita un diploma di scuola secondaria. Il tutto è ordinato implicitamente, essendo l’università accessibile anche alle donne.
La libertà femminile è stata ostacolata anche in campo lavorativo: di recente i talebani hanno dichiarato che la televisione afghana non potrà più trasmettere programmi di intrattenimento in cui appaiono donne. Similmente le giornaliste televisive potranno comparire sullo schermo solo se coperte dal velo.
Malgrado la condizione femminile si stia avvicinando sempre di più a quella tragica del primo regime, i talebani affermano che le nuove regole vigenti siano temporanee ed in ogni caso volte al bene delle donne. Tali dichiarazioni hanno evidentemente il fine di ottenere un appoggio da parte dei governi stranieri, dai quali dipendono eventuali aiuti umanitari ed economici.
Tutte queste imposizioni, e non solo, sono sfociate in numerose proteste. Una delle più recenti risale a pochi giorni fa, in risposta al decreto precedentemente citato, che obbliga le donne ad allontanarsi da casa unicamente se accompagnate da un uomo. La manifestazione è stata tuttavia indirizzata a tutte le misure discriminatorie dettate dai talebani contro le donne: “Libertà, Lavoro, Cibo” è stato lo slogan con cui sono scese nelle strade di Kabul.
La descrizione di una donna, tratta dal libro di Hosseini, come di “una roccia nel letto di un fiume, che sopporta senza lamentarsi” viene quindi confutata dalle recenti proteste istituite dalle donne afghane.
Queste, organizzate nel gruppo Movement for Change, hanno dimostrato grande coraggio, audacia e determinazione nel riottenere i propri diritti.
Giulia Tirinnanzi
Sitografia:
https://www.vanityfair.it/article/afghanistan-nuovo-divieto-dei-talebani-niente-donne-nelle-serie-tv
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