La morsa della Repubblica Popolare Cinese sulla democrazia insulare di Taiwan continua a stringersi, paziente e insidiosa. Il 20 maggio Lai Ching-te, vincitore delle elezioni dello scorso gennaio, ha ufficialmente assunto la carica di Presidente di Taiwan. I cittadini della Repubblica di Cina hanno premiato il Partito Progressista Democratico, dalla pronunciata posizione indipendentista e intollerante verso le ingerenze della Cina continentale.
Il giorno dopo il discorso di insediamento del nuovo Presidente, il Ministro degli Esteri cinese ha riaffermato le aspre vedute di Pechino sulla direzione del nuovo governo. Il diplomatico avrebbe definito “un deplorevole separatista” Lai Ching-te, secondo le traduzioni occidentali. Il 23 maggio il portavoce del Ministero degli Esteri Wang Wenbin ha dichiarato che “chiunque miri all’indipendenza di Taiwan si troverà schiacciato dall’inevitabile percorso storico verso la completa riunificazione cinese”. L’Ambasciatore Cinese a Tokyo ha appesantito ulteriormente queste provocazioni, aggiungendo che i giapponesi sarebbero stati “trascinati nell’incendio”, se avessero preso parte alle forze in supporto all’indipendenza di Taiwan per “separare la Cina”. Nelle stesse ore il Ministero della Difesa della Repubblica Popolare Cinese ha annunciato l’avvio di nuove intense esercitazioni militari, definendole una “forte punizione” per “gli atti separatisti” dell’isola.
Le operazioni stanno simulando per la prima volta un completo attacco militare, piuttosto che un blocco navale come successo in precedenza. La marina cinese ha circondato l’isola, stazionando navi da guerra anche sul versante orientale, lungo il quale idealmente sarebbero progettate le linee di rifornimento da parte degli alleati occidentali per l’esercito di Taipei, nel caso di una invasione su larga scala. Le forze combinate cinesi hanno anche circondato le piccole isole Taiwanesi di Kinmen, Matsu, Wuqiu e Dongyin, che si trovano a poche miglia dalla costa continentale, e sarebbero i primi bersagli delle operazioni offensive.
Tali dichiarazioni ed esercitazioni aumentano senza dubbio i timori di una imminente invasione su vasta scala, eppure diversi analisti presentano uno schema d’azione più complesso e prolungato, caratterizzato da un lento ‘strangolamento’ di Taiwan invece di una improbabile guerra lampo. Secondo un recente articolo di Foreign Affairs, la Cina non avrebbe intenzione di effettuare una drastica svolta militare, bensì di prolungare ed intensificare progressivamente le politiche che sta già attuando. Un ‘dissanguamento’ dell’integrità di Taiwan, dal punto di vista economico e commerciale, diplomatico ed informativo, territoriale e giurisdizionale. Le operazioni cinesi nelle acque contese con Giappone, Filippine, Indonesia, Malaysia e Vietnam fungono già da tetri esempi. tramite mezzi non letali e azioni nella cosiddetta ‘zona grigia’, le autorità cinesi sono riuscite ad ottenere il dominio de facto su territori contesi e piccoli insediamenti, violando bruscamente il diritto internazionale, ma senza scatenare dirette ripercussioni.
L’essenza della politica estera di Pechino nel Mar Cinese Orientale e Meridionale si può descrivere come il lento ed inesorabile avanzamento di una ‘linea rossa’, che sospinta in avanti inghiotte piccoli frammenti di sovranità straniere, ma non viene mai superata del tutto e non scatena mai una reazione in grado di fermarla.
Questa linea rossa non avanza solo su territori e risorse fisiche, come lo spazio aereo di Taiwan, nel quale dal gennaio 2022 ci sono state più incursioni cinesi di quelle nei quattro anni precedenti, o sui cavi sottomarini che collegano l’isola con il resto del mondo, sempre più spesso sabotati da operatori non identificati. Le ingerenze continentali si fanno notare anche negli spazi informativi e cibernetici, tramite la continua diffusione di disinformazione e gli attacchi digitali contro le istituzioni di Taiwan e le sue infrastrutture civili e militari. Secondo la RAND Corporation, la strategia informativa cinese starebbe tentando di lacerare la fiducia popolare verso i leader politici, le istituzioni ed i partner esterni, e minare le prospettive di una resistenza democratica a lungo termine, similmente a come avvenuto ad Hong Kong.
Il comandante statunitense Davidson, a capo delle forze americane nell’Indo-Pacifico, dichiarò nel 2021 che la Cina avrebbe tentato di impossessarsi di Taiwan tramite una operazione anfibia entro i sei anni successivi. Nei documenti ufficiali di Pechino e nei discorsi di Xi Jingpin tuttavia, la riunificazione sarebbe legata ad un generale “ringiovanimento nazionale” entro il 2049, una data che lascia ampi spazi di manovra e un assegno in bianco ad una politica estera a lungo termine.
Le prospettive diplomatiche tra la Repubblica Popolare Cinese ed i governi occidentali lasciano comunque intravedere una relativa apertura al dialogo. All’inizio di aprile Emmanuel Macron ed Ursula Von der Leyen hanno incontrato il Presidente Xi Jinping; una occasione per ribadire la ricerca del compromesso, soprattuto su temi delicati come la guerra in Ucraina, ma che ha sottolineato ulteriormente la predisposizione di Pechino a delegittimare le entità sovranazionali come l’Unione Europea. Mentre il Presidente Macron è stato accolto da una parata militare e una successione di appuntamenti di alto livello, la Presidente della Commissione Europea è stata ricevuta inizialmente dal Ministro dell’Ecologia, e solo assieme al Capo di Stato Francese da Xi Jinping.
I tre hanno discusso principalmente del conflitto in Ucraina, sul quale il Presidente Cinese ha ribadito la necessità di sostenere colloqui di pace e raggiungere un cessate il fuoco, opponendosi ad “azioni che possano complicare ulteriormente la situazione” riferendosi agli invii di armi occidentali. Tuttavia, secondo le dichiarazioni del Segretario alla Difesa Britannico del 22 maggio, la Cina avrebbe iniziato, o starebbe preparando l’invio di armi letali per sostenere lo sforzo bellico russo. Questa novità, ancora da accertare secondo i servizi segreti statunitensi, sarebbe un rinnovato segno del crescente partenariato con il governo russo; del resto il commercio tra la Federazione Russa e la Repubblica Popolare Cinese è cresciuto del 64% dall’inizio della Guerra in Ucraina.
L’ultima visita di Vladimir Putin in Cina, conclusasi il 17 maggio, è stata occasione per i due presidenti di ribadire una vicinanza strategica e semantica nella loro visione delle relazioni internazionali. I riferimenti all’“emergente mondo multipolare” hanno ancora una volta evidenziato l’intolleranza verso le interferenze occidentali nelle rispettive aree di interesse, un accenno valido tanto per l’Ucraina quanto per Taiwan. Osservando quest’ultima viene quasi spontaneo vedere un ciclo ripetuto, ripensando alle esercitazioni militari russe sui confini ucraini nel 2021, ma per quanto la tensione sia elevata, molti analisti sconsigliano di dare per scontato che le minacce cinesi si concretizzeranno nello stesso modo di quelle russe. Il fallimento della breve ”Operazione militare speciale” resterà un forte monito per l’esercito cinese, tanto armato quanto privo di esperienza, ed i legami commerciali con l’occidente celano costi immisurabili, dovessero questi esser lacerati da un conflitto intenso.
La morsa cinese continua, ma Taiwan potrebbe doversi armare contro minacce soffuse ed evanescenti, che mirano al cuore della sua democrazia, prima ancora che alle basi del suo esercito.
Paolo Zurlo
Sitografia:
Comentarios