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La crisi nella crisi: il 2021 tra politica e pandemia

Aggiornamento: 3 apr 2023

The time has come. Alle 18.15 del 13 gennaio 2021 è accaduto l’inevitabile: Matteo Renzi ha annunciato il ritiro delle ministre Teresa Bellanova ed Elena Bonetti dal Consiglio, aprendo di fatto la crisi di governo.

“Davanti alla crisi pandemica, il senso di responsabilità consiste innanzitutto nel cercare di risolvere i problemi, non nel nasconderli. La crisi politica non è aperta da Italia Viva, è aperta da mesi”. Con queste parole il leader fiorentino ha esordito nell’attesissima conferenza stampa, inferendo un colpo di scure al Governo Conte bis. Eppure, alcuni scricchiolii – e pure qualcosa in più – si avvertivano da mesi.

Per risalire alle origini della crisi, non basta guardare al periodo della pandemia: bisogna andare indietro nel tempo, allo scandalo Bonafede, e forse ancora più in là, alla notte di mezza estate di agosto 2019, quando, dopo l’ammutinamento di Salvini, i partiti non-di-destra si accordarono per evitare il ritorno anticipato alle urne, che avrebbe visto il Capitano assicurarsi una consistente maggioranza in Parlamento.

E forse il problema sta proprio qui, alla radice: al di là di ogni valutazione sull’opportunità politica, un governo “contro” qualcosa (in questo caso, la destra sovranista) sarà sempre meno solido di un governo “per” una visione comune, e come tale è destinato a cadere anzitempo. Ad ogni modo, la crisi pandemica è stata sicuramente incubatrice delle frizioni interne alla maggioranza, e ne ha accelerato l’implosione.

Ciò che preme davvero, però, è capire se quella di Renzi sia stata irresponsabilità o coscienziosità, sconsideratezza o buon senso. In questi giorni vediamo da un lato alcuni (tanti) che lo accusano di incoscienza e di avere operato per mero tornaconto personale, aprendo una crisi di governo nel bel mezzo della tempesta sanitaria. Dall’altro lato, ci sono altri (pochi, in verità) che difendono la sua scelta, interpretandola come un punto di svolta positivo nella gestione politica della pandemia: sarebbe proprio nei momenti di crisi a rendersi necessaria la compattezza del governo.

Ma, concretamente, quali vantaggi elettorali potrebbe trarre Renzi da questa mossa? Per rispondere, bisogna partire da un assunto: il consenso di Italia Viva, che aveva toccato valori tra il 4 e il 5% nei suoi primi mesi di vita, è in calo costante. Nel primo test elettorale, le regionali di settembre 2020, ha ottenuto in media il 3.5% dei consensi, senza riuscire ad imporsi tra i partiti che contano. D’altra parte, questo è un dato poco sorprendente: un partito piccolo che fa parte della maggioranza spesso perde consensi, perché i sostenitori della coalizione si muovono verso partiti più grandi, mentre quelli dell’opposizione si stringono intorno alla minoranza parlamentare. “Meglio invertire la rotta”, potrebbe aver pensato il leader fiorentino. Se è vero che ciò ha portato ad un’ulteriore fuga di consensi, trascinando Italia Viva intorno al 2.4% secondo i più recenti sondaggi, è altrettanto vero che, tra un eventuale governo tecnico e il semestre bianco, ci sarebbe tutto il tempo per riaffermarsi stando all’opposizione.

Inoltre, bisogna ricordare che Renzi mira a divenire il principale punto di riferimento dei moderati di centro, e in questo Conte potrebbe costituire un ostacolo. Ad oggi, infatti, si stima che un ipotetico partito fondato dal Presidente del Consiglio si attesterebbe intorno al 12%. Cifre impressionanti per un non-politico, che raccoglierebbe proprio i voti dei centristi, sottraendoli pericolosamente a Italia Viva.


Tuttavia, come accennato in apertura, non sono pochi i motivi di merito per cui Renzi potrebbe avere deciso di abbandonare la nave. Già ad aprile, Italia Viva aveva manifestato la volontà di “riaprire tutto in sicurezza”, ricevendo un veto deciso dal governo, che in effetti prorogò il lockdown per un altro mese. Anche il tema della scuola ha rappresentato motivo di scontro: Renzi lamenta che alla richiesta di un aumento del numero di tamponi da destinare agli studenti e di investimenti nei mezzi di trasporto, al fine di ridurre il numero di contagi, il governo ha risposto con i banchi a rotelle, investimento considerato del tutto inutile ai fini della battaglia alla diffusione del Coronavirus. Per non parlare del Recovery Plan, su cui il leader fiorentino ha presentato 62 punti critici al Ministro dell’Economia Gualtieri, solo in parte seguiti (tra questi, si ricorda l’aumento dei fondi destinati alla sanità). Ancora, il tema del MES, o Fondo Salva-Stati, che il Movimento 5 Stelle ha sempre guardato con riserva. E, per finire, la questione della delega ai servizi segreti, che ha rappresentato un punto di insanabile scontro tra Renzi e Conte.

Insomma, c’è un lungo elenco di questioni di primaria importanza su cui non è stato possibile trovare un accordo, sufficiente, per alcuni, a giustificare l’apertura di una crisi in piena pandemia. E d'altra parte, una maggioranza spaccata, incapace di assumere decisioni rapide ed efficienti, può aggravare ulteriormente le inefficienze parlamentari, e costituire secondo molti un male peggiore della crisi di governo.


In conclusione, non è questa la sede per dare una valutazione sull’operato di Renzi. Ciascuno troverà le risposte che ritiene più opportune, alla luce delle motivazioni esposte.

Ciò che auspichiamo, semplicemente, è che, indipendentemente dalle valutazioni elettorali o di merito, non si perda di vista l’obiettivo comune: il bene dell’Italia.


Riccardo Canossa

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