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L’editoria per gli influencers o gli influencers per l’editoria?

Negli ultimi anni il settore dell’editoria italiana, come molti altri settori, ha dovuto ripensare ai propri sistemi di comunicazione con il mondo dei lettori tentando di adeguarsi alle nuove tecnologie: questo ha significato dedicare sempre più attenzione al mondo social, popolato spesso da influencers in grado di catalizzare l’attenzione di una grande fascia di pubblico, soprattutto giovane.


La nascita di queste nuove figure, che detengono talvolta un potere mediatico nettamente superiore a quello di molti altri mezzi di comunicazione e informazione, ha sicuramente portato un cambiamento anche nella gamma di proposte di nuovi titoli da parte delle stesse case editrici, soprattutto di quelle più grandi e importanti.


Per citare un esempio: il 20 Aprile 2021 è stato pubblicato e messo in vendita nelle librerie il romanzo d’esordio di Camilla Boniardi (nota come “Camihawke” su Instagram), intitolato “Per tutto il resto dei miei sbagli”. Quest’ultima è una nota influencer italiana che vanta 1,2 milioni di followers su Instagram e che ha potuto pubblicare questo suo primo libro tramite la casa editrice Mondadori (una delle più importanti case editrici italiane!). E per capire la portata del fenomeno di cui si sta parlando, basti pensare che in due settimane il libro ha venduto 36 000 copie, scalando la vetta delle classifiche dei libri più venduti del periodo e ottenendo riscontri positivi, soprattutto tra i fans dell’autrice.


Che gli influencers con i loro profili social facciano parte della quotidianità di tutti noi e che abbiano un ruolo talvolta determinante nell’orientare gusti e mode, in particolare tra i più giovani, è probabilmente lampante e sarebbe decisamente fuori tempo opporsi a questo. Da questo dato di fatto, però, all’equazione influencer = scrittore/scrittrice il passo teoricamente non è così breve, ma vicende come quella di Camilla Boniardi e di molti altri influencers ci dicono qualcos’altro: se si hanno i numeri giusti (di followers, si intende), si può senza dubbio ottenere la possibilità di pubblicare un libro, avendo tra l’altro già in partenza la quasi totale certezza che qualcuno (almeno tra i fans fedelissimi) lo leggerà.


Le case editrici in tutto questo hanno solo da guadagnare: a costi relativamente bassi (e senza doversi preoccupare particolarmente della promozione della nuova uscita perché vi provvedono già gli influencers) riescono a garantirsi un guadagno altrimenti impensabile. E questo non è scontato, soprattutto considerando che l’editoria italiana da un po’ di anni non gode propriamente di ottima salute e che le percentuali di lettori in Italia non sono poi così esaltanti. Per rendere meglio l’idea: secondo i dati Istat del 2018, il 40,6% della popolazione legge almeno un libro all’anno. Di questa percentuale poco meno della metà dei lettori (46,5%) dichiara di aver letto al più tre libri nei 12 mesi precedenti l’intervista. Numeri davvero bassi, insomma.


Se da un lato la pubblicazione di libri scritti da influencers può avere un effetto positivo sulle tasche delle case editrici e avvicinare molte più persone alla lettura e al mondo dei libri (elementi senza dubbio da considerare), dall’altro c’è un rischio innegabile per quanto concerne la qualità del prodotto letterario che si sta offrendo.


Infatti, per quanto la pratica della scrittura non sia per forza legata a chissà quale formazione culturale/scolastica da parte di chi scrive, è prevedibile che non tutti gli influencers nascano scrittori; e se il fattore discriminante tra chi può sperare di vedere pubblicato un proprio libro e chi no è anche il numero di followers su Instagram, probabilmente è necessario chiedersi fino a che punto ciò che viene messo in commercio e ottiene spesso grande successo sia effettivamente meritevole del clamore suscitato: a volte lo sarà, molte altre probabilmente no.


La risposta a questa domanda non potrà essere univoca e per cercare di avere un’opinione a riguardo il più obiettiva possibile sarà opportuno ragionare secondo diverse prospettive; al tempo stesso tale questione, però, è ormai attuale e probabilmente bisognerà sempre più confrontarsi con essa, sia come eventuali lettori e lettrici (e quindi fruitori) sia come potenziali scrittori/scrittrici (why not? Direbbero gli inglesi!).


Tralasciando poi l’opportunità o meno di riempire le librerie di romanzi scritti da influencers, possiamo almeno augurarci che in Italia si riscopra presto il piacere e l’utilità della lettura, se è vero ciò che scriveva Gianni Rodari: Vorrei che tutti leggessero, non per diventare letterati o poeti, ma perché nessuno sia più schiavo.

Sofia Barletta



Sitografia:

- www.istat.it (Produzione e lettura di libri in Italia – 2018)

- www.agensir.it (Cultura: Istat, il 40,6% degli italiani legge almeno un libro all’anno […])

- www.wired.it (Come ha fatto Camilla Boniardi a scalare la classifica dei libri più venduti

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