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Investire sui Giovani ai tempi del COVID-19: pazzia o soluzione?

Aggiornamento: 2 apr 2023

Ripartire insieme. È il messaggio del presidente della Repubblica Sergio Mattarella che invita a ricominciare dai valori del 2 giugno auspicando una forte unità tra tutte le istituzioni, partiti e forze sociali. Abbiamo sicuramente bisogno di un intervento tempestivo e corposo per sostenere tutte quelle piccole e grandi imprese che, messe in crisi da mesi di confinamento e consumi ridotti, rischiano di fallire. D’altra parte, è chiaro che l’emergenza ha aggravato le criticità che il sistema Italia già presentava prima. Pertanto, ora che abbiamo più libertà di movimento (e di indebitarci), questa unità dovrebbe essere orientata a risolvere alcuni di quei mali di cui si parla da anni. Prendiamo ad esempio i 2 milioni di nostri coetanei che hanno lasciato il Bel Paese nell’ultimo decennio. La cosiddetta “fuga di cervelli” che, secondo Confindustria, ci è costata una perdita annuale di 14 miliardi di euro. L’editorialista Ferruccio de Bortoli scrive sul “Corriere della Sera” che si tornerà a crescere solo se si avrà cura del capitale umano.

Capitale umano: Insieme di capacità, competenze, conoscenze, abilità professionali e relazionali possedute in genere dall’individuo, acquisite non solo mediante l’istruzione scolastica, ma anche attraverso un lungo apprendimento o esperienza sul posto di lavoro e quindi non facilmente sostituibili in quanto intrinsecamente elaborate dal soggetto che le ha acquisite.

L'utilizzo del termine "capitale" mette proprio in evidenza come a queste competenze sia associato un valore monetario dovuto a una sua applicazione che genera valore per l'azienda. Eppure, in Italia, le conoscenze sono poco valorizzate. Il rapporto Education at a glance 2019 dell’Ocse ha messo in evidenza come in Italia ci siano pochi laureati (rispetto agli altri paesi avanzati), collocati per altro principalmente nelle materie meno richieste dal mondo del lavoro. Inoltre, il ritorno economico del titolo di studio terziario, sebbene superiore a quello del diploma, ci colloca ai bassifondi tra i Paesi industrializzati. A conti fatti, laurearsi porta a un aumento dello stipendio medio di circa il 39% nel lungo periodo, cifra che scende però a meno del 20% se consideriamo i primi 10 anni di lavoro. Se quindi consideriamo il rapporto costo/benefici legato al tanto sudato “pezzo di carta”, il risultato è deprimente. Laurearsi conviene poco! Non parliamo nemmeno del dottorato.

Il fatto che, dopo il 2019, i laureati entrati nel mercato del lavoro abbiano ottenuto impieghi meno elevati e peggio retribuiti rispetto alle generazioni precedenti, fa si che il numero di immatricolazioni sia in calo. Il che in sé non sarebbe un problema se non fosse che nei prossimi 50 anni, sempre più mansioni saranno svolte da robot. Questo significa che un ragazzo che oggi inizia a lavorare come magazziniere non avrà probabilmente più il lavoro tra qualche anno. Va inoltre sottolineato che l’epidemia ha accelerato l’automazione dei processi aziendali. Perché allora i laureati sono così poco apprezzati?

La responsabilità, per una volta, non è solo da addebitare (come è troppo facile fare) alle scelte di qualche governo. La classe imprenditrice privata gode sicuramente di molte responsabilità, d’altra parte è vero che le università sono troppo spesso lontane dal mondo del lavoro. Questo è sicuramente anche dovuto a una progressiva riduzione dei fondi assegnati alle istituzioni universitarie. Nel 2017, l’Italia è stato lo stato europeo che ha investito meno nell’istruzione pubblica (il 7,9 % della sua spesa pubblica totale, per l’università solo l’1% del PIL). Riguardo a ciò, non vi nascondo la delusione scoprendo che tra i 256 articoli del decreto “Cura Italia” vengono destinati solo 1,5 miliardi per la scuola e la ricerca. La metà dei fondi che sono stati destinati ad Alitalia, da decenni il buco nero italiano per eccellenza. Gli scarsi investimenti hanno come presupposto implicito che questa non serva a rimettere in moto il nostro paese. Sbagliato, anzi sbagliatissimo. Quello che serve all’Italia ora più che mai è essere innovatrice. Se vogliamo veramente uscire da questa emergenza, abbiamo bisogno di idee fresche, di competenze nuove. La scuola e l’università possono essere sicuramente motore di questo. Dobbiamo creare nuovi posti di lavoro, in ambiti altamente competitivi che non possano essere sostituiti da robot. Va inoltre aggiunto che la Ricerca, pubblica e privata, è sicuramente responsabile attiva del nostro progresso umano e tecnologico. Se otterremo in tempi rapidi un vaccino contro il COVID-19 sarà grazie a qualche laboratorio di eccellenza, dove le migliori menti di tutto il mondo hanno avuto i fondi per sviluppare le loro idee. Quest’anno sarà più difficile per i giovani ricercatori andare all’estero. Investiamo su di loro, investiamo sul futuro nel nostro Paese. Lo faccia lo Stato, lo facciano le aziende.


Luca Mainini


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