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IL FONDO PER IL RIMBORSO SPESE AGLI ASSOLTI E I PROBLEMI DELLA GIUSTIZIA PENALE ITALIANA

Aggiornamento: 17 dic 2021

La ministra della Giustizia Cartabia ha recentemente firmato il Decreto Ministeriale concernente il rimborso delle spese legali agli assolti. L’ultimo passaggio sarà ora quello al Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Il fondo, istituito con il Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2021, è finalizzato a garantire il rimborso delle spese sostenute per il pagamento del difensore agli imputati assolti con sentenza irrevocabile divenuta tale nel 2021 ed è dedicato esclusivamente a chi viene assolto:

· perché il fatto non sussiste;

· per non aver commesso il fatto;

· perché il fatto non costituisce reato;

· perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.

Non avranno pertanto diritto al rimborso gli imputati per i quali sia stata dichiarata l’estinzione del reato (come – ad esempio - per prescrizione, amnistia, esito positivo della messa alla prova, rimessione della querela, oblazione…). Non è inoltre prevista nei casi in cui l’assoluzione sia intervenuta per un solo capo di imputazione o sia intervenuta la depenalizzazione del reato.


Si tratta di una misura essenzialmente simbolica (sono infatti previsti esclusivamente 8 milioni per il fondo in oggetto), tuttavia è sicuramente importante il messaggio sotteso a questa misura: se lo Stato chiama – ingiustamente – un suo cittadino a rispondere come imputato in un giudizio penale, gli rimborsa (almeno) le spese sostenute per la difesa!


E’ risaputo che la giustizia in Italia è inefficiente. I giudizi civili si concludono in tempi eccessivamente lunghi, scontentando tutte le parti del processo. Il giudizio penale, invece, pur caratterizzato da una maggiore celerità, presenta diverse criticità.

Oltre la metà dei processi celebrati con il rito ordinario (50,5%) e ben oltre i due terzi dei giudizi di opposizione al decreto penale (69,7%!!) si concludono con una pronuncia di assoluzione (Fonte: Relazione sull’amministrazione della giustizia del Primo Presidente della Corte di Cassazione Dott. Pietro Curzio del 29 gennaio 2021, rinvenibile al link https://www.cortedicassazione.it/corte-di-cassazione/it/inaugurazioni_anno_giudiziario.page ).

Da tale percentuale non sono esclusi i procedimenti che si sono conclusi con declaratoria di non doversi procedere (ad esempio per prescrizione o per altre cause di improcedibilità che non attengono all’infondatezza dell’accusa quali l’esito positivo della messa alla prova, ex art. 168-bis cod. pen.; l’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, ex art. 131-bis cod. pen.) ma resta comunque significativo l’indicatore che se ne ricava.


Questi numeri impietosi sicuramente rendono necessaria una valutazione complessiva sul sistema della Giustizia penale.


Il complesso dei dati relativi alle percentuali di assoluzione all’esito del dibattimento evidenzia infatti un problema sia di valutazione prognostica sulla sostenibilità dell’accusa a dibattimento da parte del pubblico ministero che (soprattutto) di effettività dei controlli giurisdizionali da parte del giudice per le indagini preliminari.

Si rende quindi indispensabile la necessità di incrementare e rendere comunque maggiormente penetranti i poteri definitori attribuiti al GUP in sede di udienza preliminare (o già in fase di valutazione della richiesta del Pubblico Ministero di emissione del decreto penale di condanna), ampliando la discrezionalità allo stesso attribuita dal codice, al fine di ridurre ulteriormente le ipotesi di assoluzione al dibattimento per infondatezza dell’accusa.


Parimenti inesistente è comunque il potere del Giudice per le indagini preliminari in relazione alla attività del PM. Rari (e spesso inefficaci) sono i poteri direttivi del GIP in caso di inerzia del Pubblico Ministero nella attività istruttoria. All’esame dell’attività dell’Ufficio GIP\GUP emerge infatti che la quasi totalità delle richieste di archiviazione avanzate dal pubblico ministero (407.986 nel 2019/2020) viene accolta (393.500 nel 2019/2020) e che le imputazioni coatte costituiscono un evento assolutamente eccezionale e marginale.


Poiché – come già evidenziato – la maggior parte dei decreti penali di condanna opposti si conclude con una sentenza di assoluzione, è altresì necessario rivedere la disciplina dei provvedimenti che vengono emessi inaudita altera parte (senza quindi che l’imputato sia informato sul procedimento in corso).

Potrebbe essere determinante inserire l’obbligo di escutere anche l’imputato nella fase istruttoria. Ciò sposterebbe sicuramente il carico di procedimenti dai Tribunali alle Procure, tuttavia si rivelerebbe molto utile per gli imputati innocenti, visto che avrebbero – già nella fase delle indagini preliminari – una possibilità di spiegare le loro ragioni all’inquirente, senza dover sopportare i successivi costi di un legale, necessario per l’opposizione al decreto del Giudice. Inoltre, il procedimento potrebbe concludersi già con una archiviazione piuttosto che con una sentenza di assoluzione (che interviene solo dopo un giudizio costoso in termini di tempo e denaro sia per l’imputato che per lo Stato).


Anche l’opinione pubblica sembra spesso sviare i principali problemi della giustizia penale. Molto spesso – infatti – ci si focalizza su problemi assolutamente secondari (quali – ad esempio – la prescrizione o l’eccessivo protagonismo dei PM). La riforma Cartabia – che tanto ha fatto discutere gli addetti ai lavori del comparto Giustizia (e non solo) – di fatto introduce alcune piccole migliorie processuali, volte ad aumentare le garanzie degli imputati, ma non può ritenersi soddisfacente. Ferme restando le principali problematiche legate alla riforma, che è sicuramente perfettibile (ad esempio in relazione alla disciplina processuale della improcedibilità che, così come regolata, può avere svariati problemi interpretativi, visto che il termine di procedibilità “fisso” può determinare irragionevoli disparità di trattamento fra procedimenti chiusi velocemente in primo grado che non riescono a concludersi nella fase successiva entro i due anni e procedimenti assai più lunghi in primo grado che vengono poi definiti in appello entro il limite), la prescrizione non determina comunque una maggiore celerità dei processi (sul punto vedasi, ex multis: La Voce, Simone Lonati e Carlo Melzi d’Eril, “La modifica della prescrizione non velocizza i processi” https://www.lavoce.info/archives/89874/la-modifica-della-prescrizione-non-velocizza-i-processi/ ). Al contrario – è l’emblema di un sistema inefficiente, che spreca tempo, soldi ed energie per procedimenti che si concludono con un nulla di fatto.


IL RUOLO DEL LEGISLATORE

Quali sono quindi i fattori sui quali il legislatore può seriamente incidere?

Tra i tanti, sicuramente una modifica del regolamento del casellario giudiziale (anche quello visibile dalla PA) e una seria depenalizzazione potrebbero agire in senso deflattivo rispetto al carico degli uffici giudiziari.


Sulla riforma del casellario giudiziale visibile dalla Pubblica Amministrazione

Quelle impartite dal giudice penale sono – spesso – delle condanne essenzialmente simboliche, il cui vero elemento negativo è la iscrizione sul casellario giudiziale, mentre il pagamento materiale della sanzione è alla fine un accessorio, che ha un peso limitato (tanto che – peraltro – i tassi di recupero di queste somme sono pari a circa il 5%: Il libro bianco della Giustizia di R. Castelli e C. Tarfusser, disponibile al link https://www.giustizia2030.it ).

L’accesso ai riti alternativi può essere reso conveniente solo con una riforma del casellario giudiziale visibile dalla Pubblica Amministrazione, sul quale ancora oggi vengono riportate persino le assoluzioni per particolare tenuità del fattoex art. 131 bis cod. pen. e per esito positivo della messa alla prova ex art. 168 bis cod. pen. La presenza di questi precedenti rende, ad esempio, il soggetto carente del requisito della condotta incensurabile necessaria per la partecipazione ai concorsi nelle forze armate, nella magistratura ordinaria e in molti settori del pubblico impiego.

Che senso ha per l’imputato patteggiare o accedere a riti alternativi quando questi si traducono de facto in una situazione comunque pregiudizievole?


Sulla depenalizzazione

Il numero di fattispecie penali previste dall’ordinamento italiano è sconosciuto allo stesso Ministero della Giustizia (visto l’alto numero!) e molti procedimenti che si aprono in Italia per reati minori in altri Paesi si risolvono con una mera sanzione amministrativa.

Spesso i Tribunali si imbattono in processi che (benché particolarmente costosi, per la necessaria presenza di consulenti) terminano per rimessione di querela o verranno prescritti (è il caso – ad esempio - dei processi per lesioni colpose in campo medico).

E’ quindi necessaria una depenalizzazione massiccia (soprattutto per i reati bagatellari).

Le proposte di depenalizzazione fino ad ora attuate si sono però rilevate spesso inconcludenti, poiché non adeguatamente strutturate.

In effetti, diverse forze interne al mondo giuridico e politico non ne trarrebbero benefici.

Molti parlamentari sono avvocati e questo sicuramente favorisce una protezione della categoria (al momento in forte crisi), visto che sono loro stessi a legiferare e a comportarsi spesso da lobby nella loro attività. La normativa italiana sulla responsabilità professionale degli avvocati è infatti molto blanda e le modifiche legislative si sono concentrate più sull’allungamento dei processi piuttosto che sull’abbattimento del numero (sul punto vedasi il rapporto del Relatore speciale sull’indipendenza dei giudici e degli avvocati delle Nazioni Unite Dato’s Param Cumaraswamy, presentato conformemente alla risoluzione della Commissione sui Diritti Umani 2001/39, rinvenibile in lingua inglese al link www.societacivile.it/index.html ).

In Italia, inoltre, gli addetti del settore giustizia rappresentano una percentuale nettamente superiore rispetto a quella degli altri Paesi europei (siamo – ad esempio - il primo Paese di Europa in termini di percentuale di avvocati sulla popolazione).

L’abbattimento del numero dei processi determinerebbe, in primis, una sensibile riduzione del personale che lavora nel sistema Giustizia e – ceteris paribus – il dimezzamento del reddito degli avvocati.

In questo quadro si colloca anche l’apporto dei magistrati onorari. La magistratura onoraria, è composta da 1.169 giudici di pace, 2.035 giudici onorari di tribunale, 328 giudici ausiliari di Corte d’appello e 1.722 vice procuratori onorari, nonché 13 giudici ausiliari di Corte di cassazione addetti alla Sezione tributaria. Si tratta di un gran numero di impiegati che – in caso di una massiccia riduzione dei procedimenti – andrebbe certamente ridotto.


Appare complicato risolvere nel breve periodo il problema dell’eccesso di personale nel settore della giustizia ma una riforma del sistema universitario volta a introdurre il numero chiuso nella facoltà di Giurisprudenza – fino a qualche anno fa tra le più frequentate in Italia, i cui iscritti sono ora in netta diminuzione – dovrebbe essere presa seriamente in considerazione dal legislatore (sul punto vedasi: https://bologna.repubblica.it/cronaca/2016/10/31/news/il_numero_uno_dei_magistrati_davigo_serve_il_numero_chiuso_a_giurisprudenza_-151033220/).

Molto spesso, peraltro, le facoltà di giurisprudenza sono vittime di una adverse selection, volta a selezionare gli studenti supportati da familiari che lavorano nel campo legale o coloro i quali non riescono ad accedere alle facoltà a numero chiuso. Questa analisi appare purtroppo corroborata dai dati, visto che – soprattutto nelle Università del Meridione d’Italia – gli iscritti alla facoltà di giurisprudenza sono diplomati con voti molto bassi e arrivano alla laurea tendenzialmente oltre il termine ordinario dei 5 anni (fonte: https://www.lastampa.it/blogs/2017/11/09/news/universita-e-voto-di-maturita-i-100-e-lode-vanno-a-ingegneria-i-60-a-economia-1.37250949 ).


L’eccesso di “esperti” nel settore giudiziario, a fronte di una domanda che – in situazione ordinarie – è nettamente inferiore rispetto a quella italiana (basta confrontare il numero degli avvocati italiani con quelli degli altri Paesi del Consiglio d’Europa) contribuisce ad aumentare gli squilibri di un sistema non equo e inefficiente.


Può quindi l’istituzione di un fondo per il rimborso delle spese alle persone assolte determinare un miglioramento nel sistema Giustizia italiano? Oltre il valore simbolico, naturalmente importante per uno Stato civile, purtroppo il sistema Giustizia ha bisogno di riforme serie e penetranti che solo una politica lungimirante e di ampio respiro può progettare e attuare.


Giuseppe Scaramuzzino

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