top of page

107 giorni piuttosto misteriosi

Aggiornamento: 4 apr 2023

Il caso dei 18 pescatori di Mazara del Vallo è sicuramente conosciuto da tutti, tuttavia, probabilmente, in pochi riuscirebbero a delineare con precisione cosa è realmente successo e quali sono i suoi significati all’interno della politica estera. In questo articolo proveremo a ragionare insieme riguardo a questo enigmatico caso.

È utile cominciare delineando i fatti storici. La vicenda inizia il primo settembre, quando i 18 pescatori vengono imprigionati in una caserma di Bengasi, città nell’Est della Libia. I componenti dei due pescherecci sequestrati “Antartide” e “Medinea” sono otto italiani, sei tunisini, due indonesiani e due senegalesi; l’allarme è stato lanciato da altri pescherecci di Mazara che sono riusciti a mettersi in salvo. L’arresto è stato eseguito da delle motovedette libiche che rispondono al generale che controlla la Cirenaica, Khalifa Haftar. I moventi del sequestro sarebbero stati due: un illecito traffico di stupefacenti, nonostante non ci fosse alcuna prova per dimostrarlo, e l’invasione delle acque territoriali libiche. Dopo ben 107 giorni di prigionia, arriva la notizia della liberazione tramite un post del premier Conte su Twitter e un annuncio del ministro degli Esteri Luigi di Maio su Facebook. I pescatori sono ora rientrati a casa da poche ore, dopo ormai 108 giorni.

Cosa sia successo in questi lunghi tre mesi e mezzo e perché siano passati così tanti giorni non è chiaro, ma analizziamo gli elementi, se pur confusi, che abbiamo riguardo alla cornice di questo fatto.

L’arresto. L’accusa del traffico di stupefacenti è sicuramente infondata, ed è servita come aggravante o copertura per la presunta invasione delle acque territoriali. Presunta perché le zone di pesca nel Mediterraneo sono oggetto di una controversia italo-libica dal 2005. Infatti, nonostante l’articolo 3 della Convenzione di Montego Bay (1982) stabilisca che ogni Stato è libero di delineare l'estensione delle proprie acque territoriali, fino a un’ampiezza massima di 12 miglia marine, misurate a partire dalla linea di base, la Libia ha ritenuto opportuno che le acque territoriali su cui esercita il patrocinio siano fino a 74 miglia, in base ad una convenzione che prevede l’estensione della Zee (zona economica esclusiva, che si può estendere fino a 200 miglia dalla linea di base). Questo conflitto di opinioni è un problema serio; infatti, l’economia della zona del Mazara del Vallo, basata principalmente sulla pesca e sull’esportazione a livello internazionale del gambero rosso, appunto, di Mazara, è in crisi ormai da anni, a causa dei conflitti con la Libia - puoi vedere qui un servizio Rai dove vengono raccontate anche delle sparatorie da parte delle vedette libiche. Dunque, l’ipotesi che sia stata un’ennesima rivendicazione del patrocinio delle acque territoriali risulta avere molto credito. Ma non è tutto.

Le forze in gioco. Le motovedette che hanno arrestato i 18 pescatori rispondono al generale Haftar. Khalifa Haftar è nel panorama militare da diversi anni, infatti era il braccio destro di Gheddafi, poi rifugiato negli Stati Uniti con cittadinanza americana, ora si trova a Bengasi con le spalle coperte da Francia, Russia e Paesi Arabi. Haftar si è autoproclamato generale della Cirenaica e ha tentato di conquistare Tripoli in una settimana, tuttavia dopo un mese non ci era ancora riuscito. Dunque, questo generale in realtà non è militarmente credibile e cerca di sopravvivere nel panorama della crisi libica. Fino ad ora. Infatti, il gesto da parte di Conte e di Maio volando fino a Bengasi non è stato un trionfo politico, al contrario. Il confronto diretto delle istituzioni italiane con un generale il cui potere è formalmente non legittimato, ma sostanzialmente riconosciuto, rischia di comportare conseguenze opposte a quelle volute e dichiarate. Per superare gli ostacoli fra le due parti, in realtà è stata necessaria una serie di triangolazioni fra Roma, Parigi, il Cairo e Tripoli; in particolare, l’opera di mediazione risolutiva sarebbe stata condotta dal presidente francese Emmanuel Macron. Inoltre, il premier e il ministro degli Esteri italiani non hanno seguito in prima persona il caso, poiché a occuparsene è stata l’intelligence e i Servizi segreti dell’Aise, i quali utilizzano cautela e riservatezza. È probabile che, come molti sostengono, il volo dei due politici sia stata una mossa pubblicitaria a ridosso delle festività, nonostante ciò, il ritardo della liberazione non può essere spiegato in termini commerciali. Vi è anche chi sostiene che la credibilità dell’Italia possa essere minata dopo questa vicenda. Haftar, però, ha visto ampiamente riconosciuto il suo ruolo di leadership dall’ex potenza coloniale.

Il prezzo pagato. Non è, nemmeno questo, un elemento chiaro. Questi casi, infatti, rientrano in operazioni di riservatezza e sono molto complessi da risolvere. Quello che sappiamo è che a settembre Haftar aveva proposto uno scambio di prigionieri: in Italia dal 2015 sono condannati a trent’anni di carcere per omicidio quattro “giocatori di calcio” libici, che sarebbero coinvolti nel traffico dei migranti e responsabili di 49 morti. Certo è che cedere a questo ricatto potrebbe ridicolizzare la Giustizia e giustificare altre azioni del genere in futuro da parte di qualsiasi potenza straniera instabile o tirannica. Rimane un mistero quale sia stato il prezzo da pagare, se le celle dei “calciatori” siano già vuote oppure se lo Stato italiano ha dovuto erogare un’ingente una somma di denaro. Un bivio caratterizzato da due vie ardue allo stesso modo da intraprendere, delineare quale sia quella più corretta è sicuramente problematico. Non solo, si potrebbe prendere in considerazione una terza strada, ormai battuta da secoli: quella della violenza e della minaccia; opzione adottata di recente dalla Turchia, la quale attraverso la minaccia di mobilitare le forze armate, ha ottenuto il rilascio di alcuni prigionieri in soli sei giorni. Diplomazia o violenza? Una dicotomia dalla quale si articolano interi sistemi governativi antitetici tra loro.

Riflettendo su questa vicenda, noi ragazzi di Politics Hub dapprima ci siamo domandati che ruolo abbiano giocato in questa vicenda gli enti politici sovranazionali, come l’ONU o l’UE. Da quanto emerge dall’analisi appena compiuta, sembrerebbe che la partita diplomatica sia stata giocata principalmente dai singoli Stati e dagli organi predisposti a questi tipi di casi. Nonostante si sappia che da Bruxelles è stato lanciato un appello affinché le autorità libiche rilasciassero <<immediatamente i pescatori italiani trattenuti da settembre senza che sia stata avviata alcuna procedura legale>>, sembra che non ci siano stati interventi rilevanti. Dunque, la domanda sorge spontanea: qual è il ruolo di queste organizzazioni oggi? Quanto potere possono e vogliono esercitare? Di quali diritti si fanno ancora garanti nella pratica e non solo nella teoria?

È sorprendente come un fatto così lineare nei suoi sviluppi – invasione, cattura, arresto e rilascio – sia generato e generi panorami politicamente complessi e fortemente aporetici. Un fatto certo all’interno di questo misterioso caso c’è: i pescatori hanno potuto riabbracciare le loro famiglie, che in questi mesi non hanno mai smesso né di chiedere aiuto né di tenerli stetti nel loro cuore, salvando così almeno un giorno di festa in questo infausto anno. Chissà quali altre peripezie e odissee dovranno affrontare questi pescatori di gambero rosso affinché il loro lavoro e le nostre coste siano maggiormente tutelate da tali azioni.

Cercando di ricostruire questo fatto e provando ad analizzarlo, la percezione della distanza tra il diritto all’informazione e la presenza di vicende e nozioni delle quali non è dato sapere ad un comune cittadino è stata abissale: quanto è corretto e fin dove si può spingere l’utilizzo della discrezione e del top secret?


Pietro Carù


Sitografia:

140 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti
bottom of page