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Rivendichiamo la notte

Aggiornamento: 3 mag 2021


“Uccisa dal sistema che avrebbe dovuto proteggerla”

Sarah Everard scompare il 3 marzo 2021 a Clapham, un quartiere a sud di Londra, attorno alle 21.30. Circa una settimana dopo viene ritrovato il suo cadavere nel Kent; si sospetta che il colpevole sia Wayne Couzens, un agente della polizia metropolitana di Londra; possiamo quindi dire che Everard sia stata “uccisa dal sistema che avrebbe dovuto proteggerla” citando una scritta presente sui cartelli durante le manifestazioni. L’omicidio della trentatreenne viene definito sin da subito dai movimenti femministi come un femminicidio: un’uccisione che quindi si inserisce in un sistema di violenza sistemica contro le donne, in cui è proprio l’essere donna il fattore di rischio maggiore. Questo termine - riprendendo un articolo de Il Post - “comprende anche tutte quelle situazioni in cui la morte della donna rappresenta l’esito o la conseguenza di atteggiamenti o pratiche sociali sessiste e misogine”. In questo specifico caso, dunque, parliamo del femminicidio di Everard come di una conseguenza del fallimento delle politiche sociali che dovrebbero salvaguardare la sicurezza femminile. A seguito dell’accaduto, tuttavia, non si sono sprecati commenti di colpevolizzazione nei confronti della vittima: come mai era in giro da sola la sera? Cosa indossava? Perché non aveva semplicemente preso un taxi? A cui sono poi seguite “raccomandazioni” per la sicurezza delle donne: non stare fuori casa da sole la sera e non rincasare troppo tardi la notte; accorgimenti che tuttavia pongono ancora una volta la responsabilità sulla controparte femminile, mancando quello che è il focus reale della questione: le donne non si sentono sicure negli spazi pubblici e il problema è la violenza maschile e la narrazione che ci viene data di essa. Oltretutto, le precauzioni che le donne vengono invitate a prendere, oltre che fortemente ingiuste e antidemocratiche - poiché limitano, seppur non legalmente, la libertà femminile -, risultano anche insensate e poco calzanti se si analizza il fenomeno. Infatti, risulta chiaro come la violenza maschile sulle donne abbia luogo prevalentemente in ambito privato e domestico: in altre parole, le donne hanno più probabilità di subire aggressioni o di essere uccise dai loro partner o padri piuttosto che da uno sconosciuto in un vicolo buio alle due di notte. Se quindi la responsabilità è di chi compie le violenze, al posto di continuare a chiedere alle donne di modellare il loro comportamento per limitare il fenomeno dovremmo iniziare a chiederci cosa potrebbero fare gli uomini per non minacciare la sicurezza femminile.


“Sulla scia dell’omicidio di Sarah, le donne chiedono un cambiamento”

In seguito all’omicidio di Sarah Everard è stata poi organizzata una veglia per commemorarla, durante la quale le partecipanti hanno subito una grave repressione violenta da parte della polizia. Citando Claudia Torrisi in un articolo per Valigia Blu, “Una veglia per commemorare una ragazza uccisa da un poliziotto e protestare contro la violenza sulle donne si è trasformata in una dimostrazione di repressione e violenza istituzionale nei confronti delle donne stesse”. Questo ha innescato diverse proteste, che riguardavano l’abuso di potere attuato dalla polizia e rivendicavano il diritto delle donne a sentirsi sicure negli spazi pubblici. Riprendendo un articolo de Il Post, “In particolare, la storia di Sarah Everard è diventata una nuova occasione per denunciare le politiche che affrontano la violenza di genere sempre e solo con logiche securitarie, proponendo di aumentare il potere e la presenza della polizia nello spazio pubblico, anziché «investire in soluzioni che coinvolgano la comunità», come ha detto il gruppo femminista Sisters Uncut, e anziché occuparsi del problema della violenza di genere, in tutte le sue forme, come qualcosa di strutturale”. Aumentare il controllo e il potere della polizia non rappresenta perciò la strategia giusta per affrontare il problema della violenza maschile, che ha una matrice principalmente culturale. È necessario che le istituzioni si facciano carico di questo problema, non aumentando il controllo sui corpi delle donne ma iniziando a educare gli uomini, responsabilizzandoli e portando al centro del discorso la libertà e la sicurezza femminile. Queste proteste hanno inoltre dato occasione a moltissime donne di esprimersi finalmente sulla questione, portando in primo piano la paura che caratterizza i loro spostamenti - soprattutto di sera -, il disagio che proviamo quando stiamo per strada - anche a causa del catcalling, un fenomeno molto chiacchierato ultimamente - e riflettendo collettivamente su tutte le precauzioni che da sempre si insegnano alle donne, completamente normalizzate, e che sono a tutti gli effetti una lesione delle libertà.


Federica Esposito

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