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"La società dell'etichetta": tra vittime e pregiudizi

Aggiornamento: 3 apr 2023

“Non potevo credere che una maestra facesse certe cose”

Queste le parole di Franco, il nome che La Stampa riporta per l’amico dell’ex fidanzato della maestra d’asilo licenziata a seguito della divulgazione di materiale erotico realizzato dalla ragazza ed inviato al partner.


I fatti incriminati risalgono a più di due anni fa, quando l’insegnante intratteneva una relazione con un calciatore dilettante. Il rapporto nasce e si sviluppa spinto dalla passione, com’è normale che sia per due ragazzi nel fiore degli anni a cui niente sembra precluso. La giovane donna aveva deciso, per gioco, di costruire un book fotografico “osé”, arricchito da un video a luci rosse, poi recapitato in via digitale al proprio fidanzato.

La storia tra i due dura solo qualche mese e tutto il materiale rimane sul cellulare del calciatore, che, sciaguratamente, decide di inoltrarlo sulla chat della propria squadra, pavoneggiandosi e mostrando la sua conquista, come fosse un trofeo.

L’insegnante, avvisata da un’amica del ‘fattaccio’, richiede un incontro all’ex partner, il quale la minaccia di diffondere più video in caso di denuncia.


Non ci possono essere giustificazioni per il gesto del ragazzo e per la sua reazione di fronte alle richieste della giovane di cancellare tutto il materiale ricevuto.

In quanto uomini ed in quanto cittadini, si hanno principi e leggi che si devono rispettare e, se lo scherno dei primi può non avere conseguenze, l’inosservanza delle seconde comporta serie e giuste conseguenze. Lo Stato Italiano, infatti, difende in maniera decisa l’intimità dei propri cittadini, grazie all’introduzione del reato di “revenge porn” sotto la denominazione di “diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti”. Il testo della legge specifica anche che “la pena è aumentata se i fatti sono commessi […] da una persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa”: il gesto, un vanto agli occhi del ragazzo, lo ha reso un criminale, ora condannato ad un risarcimento pecuniario e ad ore di lavori socialmente utili.


Ma la vicenda non finisce qui. Perché nel gruppo in cui le foto ed il video sono circolate - tra cui un’immagine con nome e cognome della maestra ben visibili - era presente Franco, il padre di una delle alunne della ragazza, il quale ha prontamente girato il materiale alla moglie giudicando i contenuti inaccettabili “per una maestra”. La moglie ha inoltrato le foto a tutte le mamme della classe, minacciando inoltre l’insegnante di informare la direttrice scolastica se avesse denunciato l’ex ragazzo, amico del marito.

La maestra non mostra paura, e sporge querela.

Questo non placa però le sofferenze della ragazza, né tantomeno la circolazione delle immagini e le chiacchiere malevole sull’avvenimento.

Allora la direttrice scolastica consiglia alla maestra di licenziarsi in quanto non più “compatibile con il lavoro” e, dopo il rifiuto della ragazza, ‘passa alle maniere forti’ raccontando la storia alle colleghe, diffamandola, e costringendola a firmare le dimissioni.

Emblematica una frase riportata nella querela dall’insegnante, a pronunciarla la direttrice: sarebbe potuto succedere che “una madre si presentasse al mattino e dicesse: io non lascio mio figlio ad una p******”.

L’uso dell’epiteto ingiurioso si commenta con una frase del poeta palermitano Emmanuele Marcuccio: “l’offesa è l’arma della mediocrità e non è mai una scelta intelligente”.

Mediocrità di vedute ed assenza di scelte intelligenti, sunto della vicenda.

La coppia di genitori e la direttrice non potevano “credere che una maestra facesse certe cose”. In altre parole, non potevano credere che una ragazza ventenne mostrasse l’amore verso il proprio ragazzo tramite delle foto ‘spinte’, regalandogli un ricordo della loro complicità fisica che, nella naturalezza di una relazione, è e deve rimanere assolutamente privato.


La maestra ha agito nella più totale legittimità, ciò che ha fatto non pregiudica in alcun modo la sua integrità o le sue capacità didattiche: non esiste alcun legame tra la causa ed il presunto effetto.

Si può fornire una chiave di lettura di questo fenomeno: la società del ventunesimo secolo è per eccellenza la “società dell’etichetta” dove ogni aspetto della vita presenta standard e luoghi comuni, alcuni conseguenza dello sviluppo stesso della comunità, altri invece ereditati dalla storia.

E’ possibile che la direttrice abbia temuto per la propria posizione e per l’immagine della propria scuola, convinta che la vicenda fosse origine di imbarazzo e che i genitori l’avrebbero giudicata negativamente se non fossero stati presi provvedimenti nei confronti dell’insegnante.

Allo stesso modo, i due genitori hanno provato vergogna di fronte al comportamento dell’insegnante ed hanno temuto il giudizio della collettività, considerando la ragazza inidonea a occuparsi della crescita della loro figlia.


Il giudizio della società, ‘avvocato, giudice e boia’ che “ti uccide dentro”, utilizzando le stesse parole della ragazza.

In conclusione, non si vuole assolutamente fornire una scusante a chi ha commesso dei reati, ma si sottolinea come quanto accaduto potrebbe essere una conseguenza della società in cui viviamo e che contribuiamo a costruire.

Questa vicenda deve suonare come un campanello d’allarme, perché non è possibile che si rovini la vita di una persona a causa di qualche foto innocente finita nelle mani di persone irresponsabili.



di Andrea Belvisi

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