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Il “monopolio” cinese dei pannelli solari

Negli ultimi anni, la Cina ha assunto un ruolo di primissimo piano nella produzione e nell'esportazione di pannelli fotovoltaici, diventando la nazione dominante nell’industria globale dell'energia solare. Questa rapida ascesa non è solo frutto della casualità o delle dinamiche del libero mercato, ma il risultato di una pianificazione strategica a lungo termine e di investimenti massicci che hanno trasformato l’intera catena di approvvigionamento del settore fotovoltaico. 


Tra i maggiori produttori di pannelli solari in Cina, figurano: “LONGi Solar”, “Aiko Solar”,  “JA Solar” e “Tongwei Solar”, tutti riconosciuti anche come leader globali nel settore del fotovoltaico.


Il primato cinese nel mercato ha avuto un profondo impatto non solo sul panorama delle energie rinnovabili, ma anche sulle relazioni commerciali globali, innescando tensioni con Europa e Stati Uniti, che faticano a competere con la produzione a basso costo del gigante asiatico. Come è riuscita la Cina a conquistare questa posizione dominante e quali sfide si presentano nel prossimo futuro?


Perché la Cina produce pannelli solari?

La sua ascesa nel settore non è iniziata per una vera spinta verso l’energia sostenibile. I primi esperimenti con il solare in Cina risalgono al 1958, ma è solo con l’inizio degli anni Duemila che Pechino ha iniziato a sviluppare seriamente la sua capacità industriale in questo ambito. Questa crescita  è stata inizialmente trainata dalla crescente domanda di pannelli solari proveniente dai mercati occidentali, dove iniziavano a essere introdotte normative per incentivare le energie rinnovabili. In quegli anni, il 95% della produzione di pannelli cinesi era destinato all’esportazione, mentre solo il restante 5% veniva utilizzato a livello nazionale.

Un momento chiave per il settore è coinciso con la crisi finanziaria del 2008, durante la quale il governo cinese ha continuato a sostenere la propria industria del solare. Questo supporto si è concretizzato in sussidi e sgravi fiscali, che hanno permesso alle aziende di sopravvivere e, successivamente, prosperare. Tuttavia, per diversi anni, le priorità energetiche della Cina si sono concentrate principalmente su altre fonti rinnovabili come l’eolico e l’idroelettrico, in cui il Paese aveva già accumulato maggiore esperienza. Il solare, infatti, non veniva considerato una priorità strategica fino all’introduzione del 12° Piano quinquennale (2011-2015).

Questo documento, che traccia le linee guida per lo sviluppo economico del Paese, ha segnato un cambio di rotta e per la prima volta, il solare è stato incluso tra le fonti di energia da potenziare. Insieme alla costruzione di nuove centrali nucleari, il piano prevedeva lo sviluppo di grandi parchi solari, concentrati principalmente in aree come Tibet, Gansu, Mongolia interna, Yunnan, Xinjiang, Qinghai e Ningxia. Queste regioni sono state scelte per la loro elevata esposizione solare, per la disponibilità di vaste aree di terreno inutilizzato e per la necessità di potenziare la rete elettrica locale.

La decisione di investire in queste zone ha creato le basi per il futuro della Cina come superpotenza dell'energia solare. 


Questa analisi dimostra che, fin dall'inizio, l'energia solare in Cina è stata vista principalmente come un'opportunità per generare profitti attraverso l'export, piuttosto che come una soluzione immediata per soddisfare il fabbisogno energetico nazionale. Solo successivamente, con l'avanzare della crisi climatica e con l'inserimento dell'energia solare nei piani strategici nazionali, Pechino ha iniziato a riconoscere il potenziale del solare non solo come fonte di guadagno per l’export, ma anche come strumento cruciale per la transizione energetica domestica. 


Secondo la testata giornalistica “The New York Times”, la Cina è oggi il Paese che investe di più nelle energie rinnovabili a livello globale. Nonostante ciò, nel 2024, solare ed eolico hanno generato soltanto il 14% dell’energia totale del Paese. Un recente rapporto di “Yale Environment 360” rivela, però, un cambiamento significativo: i combustibili fossili rappresentano ormai meno della metà della capacità energetica installata in Cina, mentre solo un decennio fa costituivano ben due terzi del totale. L'attuale composizione del mix energetico dimostra come, nonostante i progressi, la transizione energetica della Cina sia ancora in corso, con un peso importante ancora attribuito alle  fonti tradizionali.


Ruolo globale dominante

In questo contesto di analisi, è importante considerare non solo la tipologia di fonte energetica, ma anche le tecnologie utilizzate per produrla. Oggi la Cina è responsabile di oltre l'80% della capacità produttiva mondiale di pannelli solari, generando un eccesso di offerta in grado di provocare un crollo dei prezzi globali e costringendo i partner commerciali ad applicare dazi sulle importazioni per evitare di essere sommersi da attrezzature a basso costo. 


La domanda che ci accompagna in questo articolo non cambia e ci porta a chiederci quale sia stata la chiave del successo del “Dragone”.


La leadership del gigante asiatico nella produzione di pannelli solari si deve in gran parte a politiche governative mirate che, attraverso la concessione di sussidi e agevolazioni fiscali, hanno incentivato fortemente gli investimenti privati non solo nel settore del fotovoltaico, ma anche in tutte le altre tecnologie considerate “pulite”. 


L’intervento governativo ha permesso alla nazione cinese di instaurare un controllo totale delle catene di approvvigionamento, dalla produzione delle tecnologie alla gestione delle risorse strategiche, ovvero l'estrazione e la lavorazione delle terre rare e dei minerali essenziali per la transizione energetica. 


Tali politiche hanno consentito alla Cina di produrre apparecchiature solari su larga scala, abbattendo i costi di oltre l'80% nell'ultimo decennio e garantendo ai prodotti cinesi un vantaggio competitivo nel mercato globale.


Guerra di prezzi

La produzione su vasta scala ha contribuito a far crollare i prezzi anche anche in ambito internazionale, rendendo le tecnologie rinnovabili più accessibili, soprattutto per i Paesi in via di sviluppo, un fattore decisivo per abbattere le barriere economiche che ostacolano la diffusione delle energie pulite in molte parti del mondo.

Oggi Paesi come il Brasile, vedono nelle aziende cinesi un partner strategico per sviluppare l'industria del solare nelle proprie regioni, potendo così beneficiare dell'accesso a competenze avanzate nel settore delle tecnologie rinnovabili. La presenza di imprese cinesi è in costante crescita anche nel Sud-est asiatico, con grandi gruppi cinesi, tra cui il colosso LONGi Solar, che vengono coinvolti nella realizzazione di nuovi parchi solari in Myanmar, Vietnam, Laos e Cambogia.


Tuttavia, la strategia economica di Pechino ha creato non pochi problemi a concorrenti come gli Stati Uniti e i paesi europei, creando una vera e propria “guerra di prezzi”.


Secondo uno studio condotto dalla Commissione Europea, le imprese cinesi sono in grado di produrre pannelli solari a un costo che varia tra 16 e 18,9 centesimi di euro per watt di capacità. Le aziende europee, invece, affrontano spese comprese tra 24,3 e 30 centesimi di euro, mentre quelle americane si aggirano attorno ai 28 centesimi di euro.


Come se non bastasse, il gap appare destinato ad ampliarsi ulteriormente: le aziende cinesi stanno abbattendo i costi produttivi dei moduli fotovoltaici, ricorrendo alle tecnologie energetiche stesse.  Hanno infatti installato parchi solari nei deserti della Cina occidentale, dove il terreno è praticamente gratuito, e utilizzano l'elettricità generata per produrre più polisilicio, la principale materia prima per i pannelli solari che richiede enormi quantità di energia. Al contrario, l'Europa affronta elevati costi energetici, accentuati dalla riduzione delle importazioni di gas naturale dalla Russia e dallo spropositato costo dei terreni per i parchi fotovoltaici; mentre nei territori sud occidentali degli Stati Uniti, le preoccupazioni ambientali hanno rallentato lo sviluppo di nuovi impianti. 


Infine, volendo identificare un ultimo elemento utile a spiegare il divario esistente tra Cina ed Europa occorre soffermarsi brevemente sulla differenza tra le strategie di investimento e finanziamento adottate dai due attori del confronto. Se da una parte la Cina ha fornito finanziamenti per stimolare le proprie fabbriche nella produzione di pannelli solari, i governi europei offrivano invece sussidi per l'acquisto di pannelli provenienti da altri mercati. Come risultato, il piano europeo ha contribuito a un’impennata degli acquisti di prodotti cinesi, danneggiando significativamente l'industria solare europea che oggi potrebbe affrontare il rischio di bancarotta senza il supporto finanziario dell'UE, poiché non riesce a competere con l'offerta cinese a basso costo, pesantemente sovvenzionata dal governo locale (e dall'Europa stessa).


Rispetto agli Stati Uniti e all’Europa, il ritmo di crescita della Cina nel settore delle energie rinnovabili è nettamente superiore. In futuro, Pechino è determinata ad accelerare ulteriormente sia la produzione che l’installazione di pannelli solari, con l’obiettivo di consolidare il suo predominio sui mercati globali e ridurre ulteriormente la dipendenza dalle importazioni.


La Cina riuscirà a mantenere il suo “monopolio” nel settore fotovoltaico? Ma soprattutto, i paesi occidentali tenteranno di affrancarsi dal dragone rosso oppure resteranno suoi fedeli acquirenti, correndo il rischio di mettere in ginocchio la propria industria?


Loris Pietrucci


Bibliografia


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