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Il mito di Trump

Donald Trump è il primo ex presidente nella storia degli Stati Uniti d'America ad essere condannato in un processo penale, il tutto in piena corsa (di ritorno) per la casa bianca.

Negli ultimi tempi il suo nome è stato spesso legato a casi di processi penali, sia a livello statale – come il caso di Daniels vs. Trump –, sia a livello federale, come il Caso della villa di Mar-a-Lago (40 capi d’accusa) e l’assedio di Capitol Hill del 6 gennaio 2021.

Una domanda lecita da porsi è come ne risentirà la sua immagine pubblica, agli occhi dei suoi supporters e dell’elettorato. 


Il verdetto di venerdì 31 maggio

Il caso di Daniels vs. Trump è strettamente legato alle relazioni clandestine, al silenzio complice e alle elezioni del 2016. L’incriminazione di Trump è avvenuta alla fine del mese di marzo 2024, da parte del Tribunale di Manhattan (New York City). 


I 34 capi d’imputazione non sono stati subito resi noti nel dettaglio, ma si è poi rivelato che tra questi vi era anche l’accusa di falsificazione di documenti contabili della campagna elettorale del 2016: un pagamento per il silenzio alla pornostar Stormy Daniels – riguardo una relazione clandestina nel 2006 – avvenuto tramite Michael Cohen (ex-avvocato della Trump Association), ma dichiarato come consulenza legale (mai avvenuta) per le elezioni del 2016. 


Il processo penale è terminato con la condanna del magnate da parte del tribunale newyorkese – statale e fuori dalla competenza del sistema federale – dove, accanto al giudice Juan Merchan (di origini sudamericane), chi ha svolto un ruolo centrale è stata la giuria, la rappresentante dei cittadini americani, che ha dichiarato la colpevolezza del tycoon. Per poter raggiungere una serenità nella decisione fatidica, temendo le reazioni cataclismatiche da parte dell’elettorato di estrema destra, è stato infatti istituito un regime speciale per la corte, che avrebbe favorito la protezione del giudice e della giuria, oltre ad accentuare le sanzioni per oltraggio od offesa alla corte. 


La pena verrà stabilita l'11 luglio prossimo, che potrebbe variare da una multa, fino al carcere; ciononostante, sembra non sia ancora detta l’ultima parola. Subito dopo il verdetto, Trump ha tenuto un discorso alla Trump Tower dichiarando l'invalidità del processo e sostenendo teorie secondo le quali sia tutta opera dell'opposizione politica (“Biden e i suoi”), un complotto contro di lui. Una teoria infondata, dal momento che il tribunale non aveva alcun influsso federale.


Nonostante le parole rassicuranti sull’onnipotenza della legge da parte del procuratore distrettuale di Manhattan, Alvin Bragg, è molto probabile che l'ex presidente chieda un ricorso: questo allungherà drasticamente i tempi di procedura e non esclude che ci vorranno mesi, se non anni, per poter risolvere il caso. Inoltre, bisogna anche ricordare che l’11 luglio è una data molto scomoda per il Partito Repubblicano, essendo alle porte della Convention Repubblicana che dovrebbe ufficialmente nominare Trump candidato del partito per le elezioni di novembre. 


La corsa alla White House

Salvo in caso di una condanna di prigionia, l'esito del processo non porrebbe ostacoli per un (eventuale) ritorno alla Casa Bianca di Donald Trump. Il consenso, in fondo, non gli è mai venuto a mancare. 


Gli anti-trumpisti continuano a sperare che, in queste settimane, il verdetto abbia una certa risonanza sull'approvazione della base dell’ala repubblicana del magnate.

Le speranze non sono del tutto utopiche: poco prima di Natale, circolò una notizia secondo la quale, nell'eventualità in cui Trump venisse condannato per l'assedio del Campidoglio, una percentuale degli elettori repubblicani non avrebbe votato per lui il 5 novembre. 


Sembra dunque che il processo per i fatti del 6 gennaio 2021 occupi una posizione preponderante – e spiegherebbe la decisione della Corte Suprema di rimandare la resa dei conti a dopo le elezioni –, ma l'inaspettata attenzione pubblica al Caso Daniels vs. Trump potrebbe far smuovere qualcosa di inaspettato.


Un elettorato volubile

Non sono pochi gli elementi che rendono l’attuale situazione politica statunitense incerta: l’elettorato è insoddisfatto, i partiti sono visceralmente frammentati, ci sono nuove questioni generazionali, gli influssi della politica internazionale e le influenze esterne.


I repubblicani, di fronte alla tempesta, sono pronti a restare sulle proprie posizioni: da un lato gli accaniti sostenitori di Trump, dall’altro la "vecchia scuola" – ovvero ciò che rimane del partito di Reagan, Bush e Rockefeller –  che levita nella mancanza di margine di azione: un destino inevitabile per chi non sta con Trump ed è repubblicano. 


Lo stereotipo dell’elettorato della destra statunitense è composto da coloro che votano col portafoglio ed una maggioranza bianca, virilista, maschile e non laureata; ma spesso non si prende in considerazione una dinamica determinante, in moto già dagli ultimi vent'anni e che sta modificando l’elettorato repubblicano.


Il Partito Democratico sta cominciando ad assumere un'immagine pubblica elitista e troppo intellettuale, poco attenta alle esigenze dell'americano medio o delle minoranze all'interno della società americana; dunque, questi ultimi stanno “bazzicando” – politicamente  parlando – altrove. Tra questi, non solo persone bianche e non laureate (fino ai primi anni 2000, il +14% dei suoi elettori andava in questo schieramento, mentre ora è il +30% tra i repubblicani), ma anche una parte di elettorato afroamericano e ispanico che è disposto a schierarsi dalla parte di coloro che remano loro contro, pur di far fronte a questioni più pragmatiche e di sopravvivenza a breve termine, degli elementi che, a quanto pare, non stanno garantendo più i democratici.


Nel frattempo, nei due giorni successivi al verdetto di fine maggio, viene dichiarata dallo staff di Trump una raccolta di 70 milioni di dollari da parte della campagna del tycoon. Durante un’intervista rilasciata a Fox – il network televisivo preferito dall’ex presidente – Trump stesso dichiara che il vero problema di una sua eventuale carcerazione sarà la reazione del pubblico – o, per meglio dire, dell’elettorato Trumpiano – americano. 


Dunque, da una certa prospettiva, il grado di approvazione del partito repubblicano sembra in crescita; tuttavia bisogna ricordare che restano altre questioni che rendono il partito ostile, come la questione del diritto all'aborto, le agevolazioni fiscali per i ricchi, lo stesso Trump e, in maniera ancora più radicale rispetto al Partito Democratico, la questione di Gaza. 


I tre pilastri

Nel caso in cui l’ex Presidente dovesse essere accusato per l'assedio del Campidoglio, probabilmente perderebbe solo una parte del consenso che gode tuttora, ma non integralmente.  


Il mito del tycoon è fondato a prova di asperità, su una sorta di caccia alle streghe in cui egli riveste il ruolo della vittima e di salvatore; inoltre  sta mettendo in atto altre strategie per potersi garantire un elettorato ancora più solido e inossidabile, implicando diversi fattori, tra cui la disinformazione, gli interventi esterni, il soprannaturale ed il controllo totale del partito.


Al tempo della Presidenza di Trump, uno dei suoi portavoce aveva parlato di una loro "realtà alternativa", dove capacità e credibilità dell'opinione giocano un ruolo preponderante: disinformazione e controllo sono infatti le basi della strategia trumpista. 

Nell'era dei social network – che sono molto difficili da moderare – la preoccupazione sta nel numero di informazioni false diffuse, che alimenta inevitabilmente una parte delle notizie trasmesse nelle elezioni locali degli USA da anni. Il fatto che siano state poste in seno alle istituzioni principali personalità simpatizzanti – se non addirittura appartenenti alla stessa famiglia politica – di Trump, gli ha permesso un grande margine di “delitto senza castigo”.


Alternando la disinformazione con i tentativi di interferenza estera, si innesca un fenomeno generale estremamente importante e preoccupante anche nei confronti della democrazia. 

Il lasciapassare di questa escalation è il Primo Emendamento della Costituzione Americana, riguardante la libertà di espressione totale. Un privilegio sacrosanto, ma che oggi è da fa mettere  in discussione: fino a quanto si può parlare di libertà di informazione, data l’itineranza di disinformazione? Ma, soprattutto, come limitare l’ampia diffusione di fake news?

Per poter garantire una relativa trasparenza elettorale e costituzionale, il Congresso degli USA sta progettando una legge contro la politicizzazione degli algoritmi e l'uso dei dati individuali allo scopo di influenzare gli utenti. Questo è un primo segno dell'evoluzione legislativa di un diritto costituzionale abusato.


Ma non è solo la disinformazione il carburante della macchina del Trumpismo: un ruolo importante è anche giocato dalla religione nella vita sociale e politica americana. 

Essendo una società non laicizzata, profondamente credente, in cuiil soprannaturale in generale occupa un posto preponderante, l’elettorato ottenibile è una destra religiosa, nazionalista, fedele e disposta a mobilitarsi. Quindi, quando Trump vende sui social media una bibbia per 600$ dicendo che è il suo libro preferito, sta rispolverando una tecnica datata – già messa in atto fin dagli anni 70 – di politicizzazione religiosa.


Dall’altro lato della barricata

Il Partito Democratico attualmente è frammentato in maniera più profonda e più rischiosa rispetto al partito repubblicano perché troviamo al suo interno un vero e proprio conflitto generazionale e ideologico.  


In genere, si parla principalmente di problemi circostanziali e strutturali: analizzando la situazione economica del paese, l'approvazione del partito si basa sulla fiducia dell'economia familiare e, come già accennato, negli ultimi anni le classi medie e minoritarie hanno affrontato diverse difficoltà (l'inflazione, l'aumento dei prezzi, le difficoltà di accesso al credito, etc.). 

L’insoddisfazione nei confronti di Biden e la vicinanza in questi ultimi 10 anni dei democratici a diverse cause non per forza legate al proletariato, porterebbero gli americani modesti a rinunciare alla causa e ad abbandonare la fedeltà al partito. 


Resta comunque il fatto che l’argomento di fiducia nell’economia è poco affidabile in quanto legata al periodo storico di riferimento. Questo motiverebbe il fatto che, nei sondaggi svolti fino ad aprile, comincia a farsi strada una nuova fiducia da parte dell'elettorato e, se la situazione dovesse continuare ad evolvere in questa direzione, significherebbe un punto di svolta per il Partito Democratico, che recupererebbe in materia elettorale.

 

Ciò che rappresenta la condizione più pericolosa è la questione di Gaza. 

Fino ad oggi il Partito Democratico americano è sempre stato legato all’immagine di un'ala moderata, pro-israeliana, pro-sionista e che si pone di fronte alla questione di Gaza con imbarazzo (senza voler interrompere la vendita di armi). Qui risiede il punto di divisione del partito: da un lato i democratici, dall'altra una "nuova generazione" che difende una soluzione a due stati, che chiede il cessate il fuoco immediato e che, per ora, pensa di astenersi il 5 novembre, immobilizzando la campagna democratica. Per evitare il disastro e difendere i livelli di approvazione per le elezioni, il partito rassicura una linea dura nei confronti di Netanyahu e varie osservazioni (vere) sul fatto che, se non ci sarà un presidente democratico alla Casa Bianca dal 2024, la causa palestinese sarà posta in sordina.


Conclusioni

Per concludere questa dissertazione, sono necessarie un paio di considerazioni: l’analisi dei dati statistici e dei sondaggi a livello statale può indicare solo una tendenza generale e non una vera previsione sugli esiti elettorali di questo autunno (non solo perché siamo a cinque mesi dalle elezioni, ma anche perché le presidenziali avvengono a livello federale); in aggiunta, i punti di approvazione di entrambi i partiti, come abbiamo visto, sono instabili. L’unica certezza -per ora- è che Trump possa  ancora fare affidamento sul suo “mito”: un’immagine basata su una caccia alle streghe – a mo’ di vendetta da parte dello “Stato-cattivo” – che pare costruita nell’eventualità che sarebbe finito nei guai, come lo è oggi.


Ciò che resta da fare è continuare a tenere gli occhi puntati sui processi che lo coinvolgeranno nei prossimi mesi, non solo perché un’eventuale condanna al carcere potrebbe essere fatidica per il tycoon, ma anche perché, all’opposizione, è in corsa un’altra personalità oltre a Biden, l'erede di una delle famiglie presidenziali più famose della storia degli Stati Uniti d'America: Bob Kennedy.


Benedetta Ghio


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