Il 6 settembre 2024 è iniziata la raccolta firme online per il referendum sulla cittadinanza che ad oggi si è conclusa e ha raggiunto il quorum con 637.487/ 500.000 firme.
La legge che disciplina la cittadinanza è la legge 91 del 1992, una legge che pone le sue basi sullo Ius sanguinis, principio che prevede l’ottenimento della cittadinanza per discendenza o per filiazione (almeno uno dei genitori deve essere cittadino italiano). Per coloro che rimangono esclusi vige il principio della naturalizzazione: si può richiedere la cittadinanza dopo aver risieduto legalmente per 10 anni sul suolo italiano, che vengono ridotti a 5 anni per gli apolidi e rifugiati e diminuiti a 4 anni per i cittadini di paesi della comunità europea. Oltre alla residenza legale coloro che richiedono la cittadinanza per naturalizzazione devono rispettare quattro requisiti: conoscenza della lingua italiana, possesso di adeguate fonti economiche, idoneità professionale, ottemperanza agli obblighi tributari e assenza di cause ostative collegate alla sicurezza della Repubblica.
La n. 91/1992 è una legge nata “vecchia”, ovvero non considera i mutamenti della società italiana: fu scritta per un paese di emigranti e non di immigrati. Nel tempo sono state fatte diverse proposte di modifica, ma nessuna è mai passata, di conseguenza questo referendum si pone l’obiettivo di introdurre un piccolo cambiamento che faccia da apristrada per modifiche più rilevanti nel futuro.
Qual è la proposta di modifica e perchè ne parliamo?
Di seguito la descrizione dell’iniziativa che si legge ancora ad oggi sul sito del ministero della giustizia e che spiega in modo chiaro ed efficiente l’obiettivo del referendum.
“La normativa in vigore stabilisce che la cittadinanza italiana possa essere concessa al cittadino straniero legalmente residente nel territorio della Repubblica da almeno 10 anni. Il quesito propone di dimezzare tale termine, riportandolo a 5 anni, com’era previsto dalla legislazione prima del 1992 e com’è stabilito in diversi altri Stati UE.
Ai fini della concessione della cittadinanza, oltre alla residenza ininterrotta in Italia (che questo Referendum propone di ridurre a 5 anni) resterebbero invariati gli altri requisiti già stabiliti dalla normativa vigente e dalla giurisprudenza, [...].
In Italia le persone in possesso di questi requisiti che potrebbero beneficiare direttamente o indirettamente (figli minori conviventi) dell’intervento proposto sono circa 2,5 milioni.”
Entro il 31 ottobre la Corte dovrà stabilire se la raccolta delle firme è avvenuta rispettando la legge e, in caso positivo, toccherà proprio alla Corte Costituzionale stabilire, entro il 10 febbraio 2025, se il referendum sia ammissibile e si potrà tenere, oppure no.
L’obiettivo del referendum è indubbio: diminuire da 10 a 5 anni la residenza legale e continuativa del cittadino straniero in Italia per la possibilità di richiesta della cittadinanza.
Questa riduzione di tempo gioverebbe in primis ai giovani figli di immigrati: i genitori stranieri, con questa modifica, potrebbero ricevere la cittadinanza in tempi minori e trasmetterla in maniera diretta ai figli (secondo il principio dello ius sanguinis) anche prima dei loro 18 anni. Questo eviterebbe loro di subire l’iter che comporta la richiesta del permesso di soggiorno e altre pratiche burocratiche complicate.
Questa modifica alla legge 91/1992 oltre a renderla più attuale, cerca di tendere una mano a tutti gli immigrati che vogliono diventare cittadini italiani.
Secondo i dati ISTAT i cittadini stranieri in Italia il 1° gennaio 2023 rappresentavano l’ 8,7% della popolazione ovvero 5,3 milioni di persone, un numero che non può essere di certo ignorato, e che fa sorgere inevitabilmente una domanda:
Quali sono le attuali condizioni dei migranti in Italia?
Nel rispondere a questa domanda concentreremo la nostra analisi esclusivamente sulla sfera lavorativa.
Nel 2022 in due terzi dei Paesi OCSE il divario nei tassi di occupazione tra migranti e nativi si è ridotto significativamente: il 72,3%, il tasso medio di occupazione dei migranti nei Paesi OCSE, ha quasi raggiunto quello della popolazione nativa del 72,7%. In Italia il tasso di occupazione dei migranti (15-64 anni) è al 62,4% mentre quello dei nativi al 59,8%, valori che rimangono al di sotto della media OCSE per i bassi tassi di occupazione in generale. La posizione sfavorevole dell’italia rispetto i paesi OCSE si mostra anche in relazione ai livelli di disoccupazione: in Italia nel 2022 i tassi di disoccupazione dei migranti erano al 10,8% mentre quelli dei nativi al 7,8%.
I livelli di istruzione influenzano significativamente i risultati lavorativi dei migranti, che tendono ad avere un’istruzione inferiore rispetto ai nativi nei paesi OCSE, aspetto che abbassa notevolmente il tasso complessivo di occupazione. In particolare dai dati emergono alcune differenze significative: i migranti altamente istruiti presentano un tasso di occupazione inferiore di quasi dieci punti percentuali rispetto ai nativi con lo stesso livello di istruzione nell’UE. In Italia la differenza arriva a quasi 12 punti, sebbene il dato dimostri un miglioramento rispetto all'anno precedente: nel 2021, infatti, il divario era di 17 punti percentuali, il più elevato tra i paesi OCSE. Sebbene il tasso di occupazione aumenti con il livello di istruzione, il gap con i nativi tende a crescere.
Ma anche all’interno della categoria di, i migranti con un elevato livello di istruzione, emergono ulteriori differenze. Questi migranti, oltre ad avere un tasso di occupazione inferiore rispetto ai nativi, sono spesso impiegati in ruoli che non corrispondono alle loro qualifiche e competenze. In Italia, ad esempio, poco più del 20% dei migranti con una laurea estera occupa posizioni altamente qualificate, rispetto al 70% dei nativi. Questa disparità è tra le più elevate nei paesi OCSE.
Il futuro dei giovani è fondamentale per la crescita di un paese. Sebbene nel 2021 il tasso di occupazione dei giovani migranti nei paesi OCSE fosse ancora inferiore ai livelli pre-pandemia, la situazione è migliorata significativamente entro la fine del 2022, con molti paesi, Italia compresa, che hanno superato i tassi del 2019. Questo miglioramento è particolarmente evidente nell'Unione Europea, dove il tasso di occupazione dei giovani di età compresa tra 15 e 24 anni nati all'estero ha raggiunto il 37%, superando il 34% dei giovani nati nel paese. In Italia, i giovani migranti sono quasi dieci punti percentuali avanti rispetto ai coetanei nativi, sebbene rimangano al di sotto della media UE. Tuttavia, è fondamentale interpretare questi dati con cautela: un tasso di occupazione più basso tra i nativi può riflettere un loro maggiore impegno nell'istruzione.
Un indicatore importante è il tasso di NEET (giovani non impegnati in istruzione, lavoro o formazione), in cui l'Italia ha il valore più alto (pur dimostrando la diminuzione più significativa, essendo passata dal 31% al 25%). Nei paesi OCSE, il tasso di NEET tra i giovani nativi è rimasto sopra il 10%, mentre tra i migranti è leggermente calato dal 19% al 17%, riducendo così il divario. Ciononostante, in alcuni paesi europei, tra cui Grecia e Svizzera, i tassi di NEET per i migranti sono aumentati nel 2022, evidenziando le difficoltà del mercato del lavoro e del sistema educativo che ostacolano l'integrazione e l'accesso alle opportunità per tutti i giovani.
In conclusione, il referendum cittadinanza è un’opportunità per modernizzare una legge datata e rispondere alle esigenze di una società in continua evoluzione. Dimezzare il tempo di residenza del cittadino straniero sul suolo italiano da 10 a 5 anni faciliterebbe non solo l’integrazione dei migranti e delle loro famiglie, ma valorizzerebbe anche le competenze e le esperienze di molte persone che fanno già parte del tessuto sociale italiano. L’integrazione dei migranti è fondamentale non solo per affrontare le sfide demografiche come l’invecchiamento della popolazione e la bassa natalità, ma anche per costruire una società più inclusiva e dinamica. Investire nel futuro di chi desidera contribuire attivamente al nostro paese è una scelta lungimirante che può portare molti benefici.
È tempo di riconoscere e valorizzare il potenziale dei migranti, rendendoli parte integrante della nostra comunità.
Alessia Lauriola
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