Il 19 maggio il mondo politico europeo è stato scosso profondamente: Germania e Francia hanno trovato un sorprendente accordo per un Recovery Fund da 500 miliardi di euro in sovvenzioni a fondo perduto. Questa misura aiuterebbe la ripresa economica delle regioni più colpite dalla pandemia e sarebbe finanziata emanando titoli obbligazionari garantiti dall’UE, poi distribuiti sotto forma di sussidi per i singoli Stati. Tale mossa ha cambiato profondamente le carte in tavola: la Germania, prima ferma oppositrice di qualsiasi forma di debito comune, si è rivelata un insperato alleato per il Sud Europa che vede sempre più vicini gli aiuti desiderati. Le ipotesi sulla forma di questa proposta sono moltissime, e di certo c’è ben poco: si sa che il fondo sarà accessibile solo con un vincolo di destinazione, ovvero dei limiti che permetterebbero di usare gli aiuti solo per uno scopo preciso, e che che all’Italia spetterà una fetta considerevole del piano, dagli 80 ai 100 miliardi secondo le ultime indiscrezioni.
Lo spunto di riflessione più interessante è il repentino voltafaccia della Germania verso i frugal four, centro del dibattito interno a Politics Hub. La posizione tedesca pareva solidissima fino a poco tempo fa, con il no agli eurobond e la promozione del Mes come principale risposta alla crisi. Ora invece la Germania è diventata il principale sponsor di una proposta molto simile agli eurobond, rompendo il tabù della mutualizzazione del debito, e le ipotesi su questo cambio di posizione non si sono fatte attendere.
Alcuni credono che la Merkel consideri questa l’unica opzione per salvare il mercato unico e scongiurare il pericolo di un simil-Brexit nei paesi del Sud-Europa. I sentimenti antieuropeisti, alimentati dalla narrativa sovranista che vede l’Europa come una nemica che gira le spalle agli italiani per favorire tedeschi e francesi, potrebbero diventare sempre più popolari se non arrivassero aiuti da Bruxelles. Capendone la pericolosità, la Germania potrebbe aver voluto agire per mettere a tacere queste critiche e ispirare fede nell’UE.
Altri invece credono in un sincero cambiamento ideologico verso un’Europa più unita e solidale coi propri membri. Questi ricollegano l’attuale proposta alla dichiarazione Schuman, dove un’iniziativa che mise in comune delle risorse economiche per prevenire la guerra finì per unire le nazioni coinvolte anche a livello politico.
Infine c’è chi la riconduce a una difesa dei propri interessi e ricollega la manovra al celeberrimo piano Marshall. Infatti finora la Germania non ha mai agito contro i propri interessi e pare strano inizi ora. Che il governo rinunci ai propri vantaggi per un’Europa più unita sembra quantomeno improbabile, come anche che spenda così tanto per arginare una narrazione che andrà contro l’UE a prescindere dalle sue azioni. È invece molto più probabile che il governo tedesco voglia rafforzare la propria posizione in Europa e allargare la sua influenza, come fecero gli Stati Uniti nel Secondo Dopoguerra. La Germania è più forte nell’Unione Europea, ma sarebbe ancora più forte se ne prendesse con decisione le redini: questo sarebbe la vera intenzione dietro questo accordo.
Ma il nostro dibattito non si è fermato ed è sorta spontanea la domanda: perché non ci sono più leader che sostengono grandi visioni come quella di un’Europa unita? Pare che ci siano tutti gli ingredienti presenti all’epoca della formazione della CECA: una tragedia immane che colpisce tutta l’Europa, il bisogno di ricostruire e una misura economica comune per unire le nazioni. Perché non dovrebbe funzionare questa volta? Innanzitutto la tragedia del coronavirus non funzionerà da collante come la Seconda Guerra Mondiale. All’epoca tutti i membri della CECA avevano sperimentato gli orrori della guerra e fecero un accordo per scongiurare definitivamente il rischio di un nuovo conflitto, mettendo in comune delle risorse fondamentali; oggi invece la manovra comune non impedirà nuove epidemie e nuove frenate all’economia e soprattutto non beneficerà tutti in modo chiaro come fece il mercato comune di carbone e acciaio. L’esperienza universale della malattia non ci sta unendo verso un unico obiettivo come nel Secondo Dopoguerra, ma piuttosto ispira antipatia verso quegli Stati egoisti che non aiutano la nostra nazione come vorremmo e che invece crediamo vogliano approfittare della situazione.
Inoltre il brusco arresto dell’economia sta spingendo a curare gli interessi di casa propria, specie nei paesi meno colpiti, e a evitare di sprecare risorse in aiuti a nazioni ritenute inaffidabili; mentre allora la ricostruzione comune era fondamentale per rendere impossibile un’altra guerra.
Infine, i leader moderni non si possono permettere idee così profonde e piani a lungo termine, come ci aveva testimoniato Giorgetti in un nostro incontro: la perenne campagna elettorale e il progressivo diminuire dello span d’attenzione alla politica, frutto di un mondo sempre più veloce e complicato, impediscono a pionieri e visionari di ottenere il successo elettorale necessario per attuare i propri progetti. Per molti partiti l’unica soluzione è diventata avere un leader carismatico, che attiri le masse anche con slogan che hanno più del pubblicitario che del politico.
Certamente il ritratto della situazione appena dipinto non appare ideale, ma è quello con cui bisogna lavorare oggi. Senza una nuova e più profonda coscienza politica delle masse, i leader non saranno più visionari, ma periti di un’infinita propaganda. Noi di Politics Hub cerchiamo di aiutare la formazione di questa nuova coscienza. Solo così potranno tornare i grandi progetti politici che portano i Paesi ad avanzare e prosperare.
Mathias Caccia
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