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Nove brigatisti in via di estradizione: è ora di placare la vendetta e proporre una giustizia ripara

“i rifugiati italiani che hanno preso parte in azioni terroristiche prima del 1981 (...) hanno rotto i legami con la macchina infernale a cui hanno partecipato, hanno iniziato una seconda fase della loro vita, si sono integrati nella società francese (...) Ho detto al governo italiano che erano al sicuro da qualsiasi sanzione di estradizione”


  • François Mitterrand, 1985


L’ultima settimana l’Italia si è vista ripiombata con la memoria nei cupi anni degli attentati terroristici che avevano macchiato il Paese a partire dagli anni Settanta.

A seguito dei contatti che sono stati instaurati dapprima tra il Ministro italiano della giustizia Marta Cartabia e la sua controparte francese Eric Dupont-Moretti, e in seguito tra Mario Draghi e Emmanuel Macron, le autorità francesi hanno arrestato nove ex-brigatisti che avevano trovato asilo in Francia negli anni passati, ma che ora saranno probabilmente estradati per essere processati in Italia.

L’estradizione di criminali sembrerebbe pratica comune tra paesi alleati quali Italia e Francia, i quali, per altro, sono entrambi membri dell’Unione europea.

Eppure, così non è stato per molto tempo, almeno per quanto riguarda il brigatismo italiano: a partire dagli anni Ottanta, infatti, il presidente della Repubblica francese Mitterrand, socialista, si era posto come iniziatore di una dottrina politica e giuridica di non estradizione di quei brigatisti, non (apparentemente) macchiatisi di crimini di sangue, che si erano rifugiati in Francia per sfuggire alla giustizia italiana.

Va ricordato che la Francia ha una lunga storia di accoglienza di rifugiati da altri paesi, soprattutto di quegli individui che il paese considera quali “perseguitati politici” o per cui il paese di provenienza non garantisce sufficienti garanzie di equità: per quanto riguarda l’Italia, si pensi all’alto numero di dissidenti antifascisti accolto Oltralpe tra gli anni Venti e Trenta, molti di questi appartenenti al gruppo Giustizia e Libertà.

Nella fattispecie ci si può chiedere come possano essere considerati “perseguitati politici” degli individui che hanno sparso il terrore in Italia per almeno un decennio, partecipando spesso all’omicidio di vittime innocenti: ebbene, per il sistema giudiziario francese istituti tipici del diritto italiano quale la condanna in contumacia o le testimonianze dei pentiti, non avrebbero garantito il pieno rispetto dello stato di diritto.

C’è anche da aggiungere che le autorità italiane non si sono mostrate eccessivamente zelanti nel cercare di ottenere l’estradizione di questi soggetti, a partire dallo stesso presidente del consiglio di allora, Bettino Craxi, che aveva sostanzialmente avallato la dottrina Mitterrand.

A quasi quarant’anni di distanza, tutto questo è cambiato: Enzo Calvitti, Giovanni Alimonti, Roberta Cappelli, Marina Petrella e Sergio Tornaghi (tutti delle Brigate rosse), Giorgio Pietrostefani di Lotta Continua e Narciso Armati dei Nuclei Armati contro il potere territoriale sono ora in attesa di essere rimpatriati in quello stesso paese che avevano sfregiato con i loro atti criminosi anni orsono.


Nonostante la positiva notizia del rimpatrio di questi soggetti, l’intera ratio dell’operazione pone inevitabilmente degli interrogativi.

Cosa si è voluto perseguire con la loro estradizione? Giustizia per le vittime, si potrebbe dire; ma il ruolo dello Stato va al di là di questo, di una semplice “faida” istituzionalizzata che non lascia il suo carattere vendicativo.

Lo Stato, infatti, deve anche perseguire la finalità rieducativa della pena: come e in quali modalità lo stato potrà rieducare e reinserire successivamente nella vita civile dei soggetti che si erano già ricostruiti una vita in un altro Paese, dove sembra che abbiano reciso ogni legame con il passato?

Forse, è ancora necessario che questi soggetti prendano effettivamente coscienza del dolore che hanno arrecato ai familiari delle vittime e alla Nazione, che si rendano finalmente conto del peso storico delle proprie azioni: in questo modo la finalità rieducativa (non solo per i singoli imputati, ma, se vogliamo, anche per un intero Paese che ha bisogno di ricordare) può essere mantenuta anche in questa peculiare situazione.


Ricordiamo in chiusura quali sono le accuse rivolte ai terroristi, al fine di chiarire ogni dubbio circa le loro responsabilità:


Giorgio Pietrostefani: condannato a 14 anni per l’omicidio del commissario Luigi Calabresi


Narciso Manenti: condannato all’ergastolo per l’omicidio dell’appuntato dei carabinieri Giuseppe Guerrieri


Giovanni Alimonti: condannato a 11 anni per il tentato omicidio del vice direttore della Digos di Roma Nicola Simone


Roberta Capelli: ergastolo per tre omicidi


Enzo Calvitti: condannato a 18 anni, viene rinvenuto nella sua casa in Francia un documento in cui incita la “terza generazione” dei brigatisti a continuare la lotta.


Marina Petrella: ergastolo per l'omicidio del Generale dei carabinieri Enrico Galvaligi , per il sequestro del Giudice Giovanni D'urso, l'attentato al vicequestore Nicola Simone, il sequestro dell'assessore regionale campano della Dc Ciro Cirillo e l'uccisione dei due operatori di scorta.


Sergio Tornaghi: ergastolo, tra gli altri delitti anche l’omicidio del DG della “Ettore Marelli” Renato Briano.




-Edoardo Cozzi


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