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Il calcio (non) è (più) di chi lo ama

Terremoto nel mondo del calcio. Nella serata di domenica 18 Aprile si è verificata una vera e propria rivoluzione copernicana del mondo del pallone. Dodici top club europei, tra cui le nostrane Juventus, Milan e Inter hanno annunciato la nascita della Superlega, una sorta di Eurolega calcistica che vedrebbe impegnati i migliori club dei maggiori campionati europei. Una competizione spettacolare, secondo i fautori del progetto, la morte del calcio secondo il resto del mondo. Prima di dare conto delle reazioni all’annuncio e di cercare di comprendere le ragioni dietro a questo scisma, cerchiamo di capire meglio, in concreto, il funzionamento del nuovo torneo internazionale all’orizzonte.


Innanzitutto, chi sarebbe coinvolto? Per il momento i firmatari del progetto sono sei squadre inglesi (Manchester United, Manchester City, Arsenal, Liverpool, Tottenham e Chelsea), tre squadre italiane (Juventus, Milan e Inter) e tre squadre spagnole (Barcellona, Real e Atletico Madrid). Come è possibile leggere dalla nota congiunta pubblicata dai club sopracitati, la nuova Superlega sarebbe composta da venti squadre: quindici fisse e cinque che parteciperebbero su invito. Le partecipanti sarebbero divise in due gironi da dieci, dando vita ad una sorta di minicampionato andata e ritorno. Al termine del girone le prime tre squadre classificate e la vincente del play off tra quarta e quinta affronterebbero gli omologhi dell’altro girone nella fase finale del torneo. Tutto questo per un totale di minimo diciotto partite a testa, 23 in caso di arrivo in finale. Sarebbero dunque occupati 22 slot infrasettimanali, rendendo perciò impraticabile l’ipotesi di una convivenza con le attuali competizioni europee. Tutto questo con la regia finanziaria di JP Morgan, banca americana che ha già pronti 3.5 miliardi di euro per dare inizio al progetto.


Le reazioni non si sono fatte attendere e sono arrivate da più parti: non si è espresso solo il mondo calcistico, ma la questione ha visto in prima linea anche la politica, oltre ovviamente al mondo del tifo. Il coro è stato unanime e di critica nei confronti di un progetto che, secondo i più, va contro i reali valori del calcio e rovina il gioco più bello del mondo. La UEFA e la FIFA, congiuntamente con le federazioni nazionali, si incontreranno a ore in un vertice: l’opinione comune è di boicottare i club che decideranno di partecipare alla Superlega, escludendoli dalle coppe europee, dai campionati nazionali e non permettendo ai giocatori delle squadre coinvolte di prendere parte alle competizioni fra nazionali. Intanto si prospetta una battaglia legale multimiliardaria tra la UEFA stessa e i singoli club. In Italia tre squadre di Serie A (Atalanta, Cagliari e Verona) hanno chiesto l’esclusione di Juventus, Milan e Inter dal campionato, mentre i top club della Bundesliga tedesca hanno comunicato ufficialmente la loro non adesione al progetto. Contrari anche giocatori e allenatori (tra cui Guardiola, allenatore di una delle squadre coinvolte nel progetto, il Manchester City). Insomma, questa trovata sembra non piacere proprio a nessuno.


I giornali di tutto il mondo hanno dovuto, nella notte, ribaltare le loro prime pagine. Anche in questo caso la linea è stata pressoché univoca e il grido unanime: “Fermatevi”. Proponiamo alcuni esempi, provenienti da tutto il mondo.





Ma perché tutto questo? Cerchiamo di indagare le motivazioni dietro questa mossa da parte di 12 tra i più importanti e blasonati club d’Europa. Il motivo essenzialmente risiede in un concetto: il profitto. Per comprenderlo può essere utile un semplice parallelismo. La NFL americana conta 300 milioni di tifosi, un decimo rispetto agli appassionati del pallone, ma nonostante questo fattura il doppio rispetto alla attuale Champions League. Qualcosa non funziona come dovrebbe, e su questo i presidenti delle dodici squadre aderenti alla Superlega hanno ragione. I maggiori dubbi però sorgono sul come, piuttosto che sul perché. È giusto provare ad implementare il giro d’affari intorno al calcio, farlo annichilendo la reale essenza del calcio, la competizione, non sembra la via migliore. Un campionato, la Superlega, che dimentica la meritocrazia (nessun rischio di retrocessione in caso di sconfitta, barriere all’accesso difficilmente superabili), è contrario a ogni valore sotteso allo sport. Come perfettamente sintetizzato dal tecnico del Sassuolo De Zerbi: “È come dire al figlio di un operaio che non potrà diventare dottore o avvocato”.


Ma la vera domanda, a conclusione della nostra discussione è: il calcio deve essere solo una macchina da soldi, uno spettacolo, oppure può e deve essere qualcosa di diverso? L’opinione di chi scrive è che il calcio prima di tutto sia passione, passione genuina e non macchiata da interessi economici. Il calcio è un padre che porta orgoglioso il figlio allo stadio per la prima volta, il calcio è il borsone portato a scuola per l’allenamento del pomeriggio, il calcio è l’odore acre dello spogliatoio la domenica mattina prima della partita, il calcio è la curva che, dopo una settimana di lavoro e di fatica, si riempie e si fa famiglia: tutti amici, per 90 minuti, ti abbraccio anche se non so chi sei. “Il calcio è questa roba qua” come disse un emozionato Fabio Caressa nel commentare l’addio alla Juventus di Alex Del Piero e le lacrime dei tifosi accorsi allo stadio per salutare il proprio beniamino. Il calcio è l’addio di Totti, di Maldini, di Baggio, il calcio è il mondiale del 2006, le lacrime a San Siro dopo Svezia Italia. Gioia e dolore con un comune denominatore: il calcio è di chi lo ama (come recitava un noto slogan pubblicitario). Il calcio è dei tifosi, non di una banca di investimento americana. Aumentare il fatturato non è certamente un male, anzi. Chi scrive è un acceso sostenitore del libero mercato e delle sue dinamiche, ma molto spesso la sete di denaro rende ciechi e porta a perdere di vista la reale essenza delle cose.


Lunga vita al calcio, quello vero.


Andrea Consales




+++UPDATE+++

Mentre scriviamo si rincorrono indiscrezioni su un possibile dietrofront da parte di quattro dei dodici club coinvolti (Chelsea, United, City e Barcellona). Per il momento si tratta soltanto di voci, ma forse il progetto della Superlega è destinato a spegnersi prima ancora di nascere.




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