“I am Hongkonger” è il più noto motto usato ad Hong Kong, una regione autonoma della Cina. Ma com’è possibile che cinesi e hongkonghesi parlino due lingue diverse e vivano standard differenti, pur facendo parte dello stesso paese?
Hong Kong: astro nascente del commercio orientale…ma a che prezzo?
Originariamente territorio cinese, dopo la Seconda Guerra dell’Oppio (1842) -una guerra di conquista della Cina da parte degli inglesi e dei francesi- la regione di Hong Kong venne ceduta alla Gran Bretagna, mutando la sua indisturbata natura e costituendosi fin da subito come zona di contrasto tra Oriente e Occidente. Infatti, dalla nascita della Repubblica di Cina (1912) e per decenni a seguire, fu luogo di rifugio politico per gli esiliati cinesi, soprattutto con la guerra civile tra nazionalisti e comunisti del 1949 (che vide la vittoria di quest’ultimi, ulteriore motivo di screzio con l’Occidente).
Nel frattempo, l’inarrestabile ondata di immigrazione provocò un aumento della manodopera, con conseguente sviluppo del settore industriale, che vide presto Hong Kong esplodere di ricchezza e produttività. Tuttavia, nel secolo precedente venne concessa la regione agli inglesi solo fino al 1997, al termine del quale sarebbe dovuta tornare in mano ai cinesi. Ma è meglio prevenire che curare, e questo la Gran Bretagna lo capì da subito, iniziando la negoziazione con la Cina ben 15 anni prima della scadenza prefissata.
Il particolare caso de “Un Paese-due sistemi”
Sia i cinesi che gli inglesi ci presero gusto con le scadenze, perché tramite un accordo bilaterale firmato nel 1984 ne fissarono un’altra: 2047, l’anno fino a cui la Cina avrebbe promesso di rispettare la giurisdizione esistente ad Hong Kong -prima della totale annessione- non applicando il sistema economico socialista cinese ma, a sua volta, si sarebbe occupata della politica estera e della difesa del territorio. Da qui proviene la formula (dal 1997 e tuttora vigente) dei due sistemi in un unico Paese, essendo Hong Kong figlia di una politica di commercio occidentale irrinunciabile.
Secondo Pechino, tale sistema dovrebbe permettere un graduale ritorno alle origini della regione tanto contesa, ma cinesi e hongkonghesi la pensano allo stesso modo?
Agli occhi dei cittadini
Ad opporsi a tale visione di unità non è l'élite economica di Hong Kong -che ne trae i suoi vantaggi grazie ai flussi finanziari e agli affari che gestisce con Pechino- bensì la sua generazione giovanissima, che protesta perché affezionata al contesto di libertà in cui è cresciuta e che vede minacciato dalla legge sulla sicurezza nazionale. Ad aumentare tale scontento sono le pressioni anglo-americane, poiché la sfiducia nel governo cinese in merito alla limitazione di diverse libertà è ormai molto alta, quasi irrecuperabile.
D’altro canto, i cinesi non comprendono le proteste degli hongkonghesi, ritenendole da “viziati”: sono consapevoli del privilegio di cui godono i loro vicini di casa, perché effettivamente hanno delle libertà che in Cina sono inammissibili e che fanno sentire gli hongkonghesi stessi diversi e più civilizzati dei cinesi.
Dunque si, la priorità del governo cinese è la totale integrazione della regione di Hong Kong dal 2047. Ma, dati questi dissensi, succederà facilmente? Ci si può aspettare un’escalation? Non ci resta che attendere…
Carlotta Rabiolo
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