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2024: i dadi sono tratti

L’anno più “elettorale della storia” 

Così si prospetta questo nuovo anno, costellato di Paesi chiamati al voto. 

50 in totale le elezioni nel mondo e ben 76 nazioni chiamate alle urne, per un totale di 2 miliardi di votanti, di cui 400 milioni solo in Europa. 


Quella europea infatti, si prospetta come la più grande elezione democratica al mondo, che vedrà i cittadini dei 27 Paesi membri chiamati alle urne dal 6 al 9 giugno 2024.


Ad oggi in molti Paesi nel mondo il concetto di libertà di espressione del voto non è così scontato.

Così come riportato dal Democracy Index sui Paesi considerati, sono 43 soltanto i Paesi in cui il concetto di democrazia è pieno, conferendo alle elezioni politiche la cifra principe della libertà.

Secondo l’Economist, in Paesi come il Pakistan ed il Bangladesh non vengono soddisfatti i requisiti minimi al fine di poterle considerare come libere, in quanto già le campagne elettorali si configurano come pilotate, nel quadro di regimi che mescolano elementi di democrazia e di autoritarismo. 


Ma procediamo con ordine. 

Oltre alle attesissime elezioni americane ed europee, sono chiamati al voto alcuni tra i Paesi più influenti sulla scena geopolitica mondiale tra cui Russia, India, Regno Unito e Taiwan.

Ed è proprio quest’ultimo che risulta essere tra i primissimi chiamato alle urne. 



Gennaio a Taipei : per cosa si è votato ? 

Le danze elettorali del 2024 sono state aperte dal Bangladesh l’8 gennaio seguito però da Taiwan il 13 gennaio, con tutto l'osservatorio internazionale in allerta. 


Le elezioni del 13 gennaio hanno chiamato alle urne i cittadini taiwanesi sia per la scelta del presidente che per l’assegnazione di 113 seggi parlamentari. 


“Delicate”, così si potrebbero definire le elezioni presso la Repubblica di Cina, in quanto alla vittoria, ottenuta mediante elezioni democratiche, di Lai Ching-Te esponente del Partito Porgressista Democratico,



Ma chi è Lai Ching-Te? 

Definito da Pechino come un “pericoloso separatista”, Lai Ching-Te (che si fa chiamare William a livello internazionale) è il vincitore delle elezioni presidenziali di Taiwan.


Ma cosa si sa davvero su di lui ?  

Nato in una famiglia operaia mineraria nella Contea di Taipei, Lai ha studiato riabilitazione e sanità pubblica presso università a Taipei, conseguendo infine un Master presso l'Università di Harvard nel 2003.

Dopo essere stato presidente dell'Associazione Nazionale di Supporto ai Medici, Lai si è candidato alle elezioni del 1996 per il Yuan Legislativo, vincendo un seggio rappresentante la città di Tainan. 

Dopo essere stato rieletto per quattro mandati consecutivi al Yuan Legislativo, Lai si è candidato come Sindaco di Tainan nel 2010, vincendo e ricoprendo la carica per sette anni, ottenendo la rielezione nel 2014. 


Nel settembre 2017, il presidente Tsai Ing-wen ha annunciato che Lai avrebbe sostituito il primo ministro uscente Lin Chuan, ricoprendo così il ruolo di vicepresidente dal 2020.

Il 24 novembre 2018, Lai ha annunciato l'intenzione di dimettersi da primo ministro dopo una pesante sconfitta del Partito Progressista Democratico nelle elezioni locali, lasciando l'incarico il 14 gennaio 2019 dopo l'insediamento del suo successore Su Tseng-chang.       

Lai ha poi sfidato Tsai nelle primarie presidenziali del Democratic Progressive Party del 2019 e, dopo la sconfitta, è diventato il compagno di corsa dello stesso Tsai nelle elezioni presidenziali di Taiwan del 2020, in cui la coppia ha vinto.

Torniamo però ai giorni nostri, in cui è indiscussa la sua rilevanza a livello geopolitico, quali potrebbero essere le sue prossime mosse? 



Conseguenze dei risultati sullo scenario geopolitico 

La scacchiera geopolitica è risultata molto sensibile alla campagna elettorale taiwanese in quanto alle possibili implicazioni geopolitiche al di fuori dei confini dell’isola, volte alla possibilità di minare la stabilità tanto regionale quanto globale. 


A risultati ottenuti, il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Hua Chunying, in una nota ha dichiarato «La questione di Taiwan è un affare interno della Cina. Qualunque cambiamento avvenga a Taiwan, il fatto fondamentale che esiste una sola Cina nel mondo e che Taiwan è parte della Cina non cambia»


É da sottolineare come il voto avviene in un momento in cui la competizione globale tra democrazie e regimi autoritari è in costante aumento, rendendo così l'esito cruciale per determinare la posizione internazionale di Taiwan tra gli Stati Uniti e la Cina. 


Il legame tra Taiwan e la Repubblica Popolare Cinese (RPC) costituisce il fulcro di tutte le dinamiche politiche, economiche, diplomatiche e militari a Taiwan. 


Questa relazione influisce direttamente sulla configurazione dell'arena politica interna, con le diverse forze politiche che si schierano in base alle loro posizioni riguardo a tale rapporto.

Da un lato, c'è la Coalizione pan-azzurra, guidata dal Kuomintang (GMD), che promuove una linea di dialogo e collaborazione con Pechino. Tradizionalmente, questa coalizione non ha mai abbandonato l'idea di una riunificazione con il continente cinese.


Dall'altro lato, la Coalizione pan-verde, dominata dal Partito Progressista Democratico (DPP), è favorevole a un'identità indipendentista taiwanese. Questo schieramento politico sostiene la preservazione di uno status di maggiore autonomia e identità separata rispetto alla Cina continentale.


Ed è proprio questo secondo orientamento che ha avuto la meglio lo scorso 13 gennaio.



First Reaction : Shock 

Immediatamente dopo le elezioni, Pechino ha ribadito la sua posizione sulla "inevitabilità della riunificazione" con Taiwan, ma ha sorprendentemente commentato l'esito delle elezioni. 

La prima azione concreta da parte dello scenario politico globale nei confronti del neo-presidente, si è verificata il 15 gennaio, in quella che i funzionari diplomatici taiwanesi hanno definito come una "mossa improvvisa".

La Repubblica di Nauru ,  ha annunciato la rottura dei rapporti diplomatici ufficiali con Taipei e l'intenzione di stabilire relazioni con Pechino.

Attualmente, solo 12 paesi riconoscono ufficialmente lo stato di Taiwan, mentre gli altri mantengono relazioni informali con l'isola. 

Tra questi 12  paesi ci sono principalmente nazioni di piccole dimensioni dell'area oceanica, dell'America centrale e Latina, oltre ad uno Stato africano. Un riconoscimento insolito proviene anche dallo stato del Vaticano, che è l'unico in tutta Europa a riconoscere ufficialmente Taiwan. 


La maggior parte della comunità internazionale mantiene legami informali con Taiwan a causa della complessità delle relazioni con la Cina continentale e delle implicazioni politiche che ne derivano.



Sará guerra o sará pace ? 

Il neo presidente Lai si mostra  "determinato a salvaguardare Taiwan dalle continue minacce e intimidazioni provenienti dalla Cina", sottolineando che il suo governo cercherà il dialogo con Pechino. 


Ha enfatizzato l'importanza di mantenere la pace e la stabilità nello Stretto di Taiwan, considerandolo una responsabilità fondamentale, e ha ribadito che il suo governo userà il dialogo al posto dello scontro nelle interazioni con la Cina. La successione alla presidenza, prevista per il 20 maggio, porterà il nuovo presidente a rimanere in carica fino a maggio 2028.


Anche l'Unione Europea ha accolto con favore l'esito delle elezioni, ma allo stesso tempo ha espresso preoccupazione per le crescenti tensioni.  

In una nota del portavoce dell'Alto rappresentante per la politica estera europea, Josep Borrell, si evidenzia il comune impegno nei confronti della democrazia, dello Stato di diritto e dei diritti umani tra i sistemi di governo. 

La nota sottolinea che la pace e la stabilità nello Stretto di Taiwan sono cruciali per la sicurezza e la prosperità regionale e globale, aggiungendo che l'UE si oppone a qualsiasi tentativo unilaterale di modificare lo status quo, rimanendo in apprensione per le crescenti tensioni.


Sarà guerra o sarà pace ? 


Berlinzani Alessia 


Fonti:


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